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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

venerdì 8 aprile 2011

20. La pienezza dei tempi

«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli» (Galati  4,4-5). «[Cristo] alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso»  (Ebrei  9,26).

Soprattutto nel periodo di Natale la liturgia ci ha ripetuto questa espressione, diventata abituale nel linguaggio cristiano, ma che non per questo è anche facilmente comprensibile. Il suo significato è legato ad una concezione del tempo tipica della Bibbia, che presenta la storia dell’umanità come un cammino, nel quale si collocano momenti particolarmente importanti che devono portare a raggiungere un traguardo finale. Si è convinti che in questi momenti, anticipati da una lunga preparazione, Dio si manifesti in modo straordinario e unico.

Non si tratta però di uno sviluppo lineare indefinito, ma di un crescendo che, dopo aver raggiunto il suo culmine, non aggiunge più nulla di sostanziale se non la realizzazione di quanto Dio ha compiuto a favore dell’umanità. In altre parole, la nostra fede si presenta con un inizio (la vocazione di Abramo), con un punto centrale (l’incarnazione del Figlio di Dio) e con le conseguenze che noi siamo chiamati a sviluppare (la vita della Chiesa).

Seguendo questo schema, potremmo rappresentare la storia dell’umanità con una clessidra che ha il suo punto centrale nella persona di Gesù. Tutto ciò che lo ha preceduto tendeva a Lui; tutto ciò che segue deriva da Lui. Anche nella divisione della storia, comune nei nostri paesi cristiani, è evidente questo aspetto, in quanto collochiamo gli avvenimenti avanti Cristo (a.C.) o dopo Cristo (d.C.).

Ma perché proprio allora?

Quanto abbiamo detto non spiega ancora perché questa centralità sia stata individuata proprio nel periodo storico che conosciamo e che l’evangelista Luca espone con abbondanza di riferimenti all’inizio del suo vangelo (Luca 2,1-2;  3,1-2). Perché in quegli anni e non qualche tempo prima o dopo? Perché Dio ha scelto quei giorni, quella regione della terra, quel popolo particolare?

Riguardo al popolo, la risposta è semplice: solo all’interno del popolo ebraico si era sviluppata la riflessione sugli interventi di Dio nella storia, finalizzati a comunicare agli uomini il piano di salvezza dell’umanità. Al di fuori dell’ambito ebraico il discorso sulla necessità di redenzione dell’uomo dai peccati non stava in piedi, almeno nei termini che noi conosciamo attraverso la Bibbia.

In tutte le religioni è presente la coscienza che la divinità deve essere placata con l’offerta di sacrifici, per espiare le offese arrecate dagli uomini. Ma solo nella religione ebraica questa intuizione assume i caratteri ben precisi che ci offre la Bibbia e che sono stati la base della riflessione cristiana per spiegare quanto era avvenuto a Gesù di Nazaret.

Le idee di Messia, di salvatore, di sacrificio espiatorio, di profeta, di legislatore, di rappresentante diretto di Dio non sono spiegabili se non in riferimento ad una cultura che aveva assimilato questi concetti, anche se li spiegava in modi non perfettamente identici. Pensiamo solo al valore attribuito dall’Antico Testamento al sangue, considerato sede della vita e versato durante i sacrifici sull’altare (che rappresentava Dio stesso) e asperso (cioè spruzzato) sul popolo per indicare che la divinità  e l’uomo partecipavano della stessa vita.

In quegli anni queste convinzioni erano maturate all’interno del popolo ebraico. Le discussioni sull’interpretazione da dare a certi aspetti della fede (vedi ad esempio le posizioni contrastanti a proposito della risurrezione, tra Farisei e Sadducei) testimoniano il radicamento di una tradizione religiosa salda nei suoi principi e non scalfita da scelte particolari. Da questo punto di vista, l’interpretazione cristiana dei fatti riguardanti Gesù di Nazaret si inserisce perfettamente nel pluralismo ideologico proprio di quel periodo e non avrebbe forse determinato il distacco violento tra le due religioni se non avesse dovuto essere così radicale.

Pienezza dei tempi, significa dunque che il popolo ebraico si trovava nelle condizioni ideali per comprendere l’irruzione di Dio nelle vicende umane, cosa che effettivamente è avvenuta nei numerosi Ebrei che hanno dato origine alla Chiesa cristiana.

E perché non dopo?

Nel 70 d.C. l’esercito dell’imperatore romano Tito distrusse Gerusalemme compiendo uno dei massacri più sanguinosi che la storia ricordi. I superstiti del popolo ebraico vennero dispersi in tutto l’impero e rimasero separati in piccole comunità. Continuarono a riflettere sulla loro storia ma non poterono più vivere in pieno la loro religione. Essendo stati privati del Tempio e dei sacerdoti non fu più possibile offrire sacrifici.

Il tempo opportuno per capire la vita e la missione di Gesù era passato. Dopo il 70 d.C. non si presentavano più le condizioni che avevano permesso di spiegare l’opera di salvezza realizzata dal Figlio di Dio. Il Salvatore «doveva» vivere e morire in quel preciso momento storico, pena la non significanza della Redenzione.

Giovanni Boggio (Biblista)


IL PIANO DI DIO:
METTERE CRISTO
AL CENTRO DELLA STORIA

In [Cristo, Dio] ci ha scelti prima della creazione del mondo,
per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità,
predestinandoci a essere suoi figli adottivi
per opera di Gesù Cristo,
secondo il beneplacito della sua volontà.
E questo a lode e gloria della sua grazia,
che ci ha dato nel suo Figlio diletto;
nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue,
la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia.
[Dio] l'ha abbondantemente riversata su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà,
secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito
per realizzarlo nella pienezza dei tempi:
il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose,
quelle del cielo come quelle della terra.
(Efesini 1,4-10)








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