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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

sabato 24 maggio 2014

ARCHEOLOGIA

L'ARCHEOLOGIA: NON È UNA SCIENZA ESATTA L’archeologia si potrebbe definire “l’arte di far parlare le pietre” che, come ben si sa, non hanno parole proprie anche se ne fanno dire molte, e colorite, a chi vi ci inciampa o a chi ne arriva una sulla testa. Agli archeologi spetta il compito non semplice di raccontare con parole proprie l’origine, le avventure liete o tristi e la fine di oggetti inanimati attorno ai quali si sono svolte le vicende di uomini vissuti prima di noi, a volte anche alcuni millenni. È un’impresa piuttosto ardua, soprattutto in mancanza di altri documenti in grado di fornire qualche coordinata complementare che permetta di ricostruire l’ambiente di cui quelle pietre facevano parte. Questa difficoltà oggettiva di identificazione di molti reperti archeologici è ampiamente dimostrata dai pareri spesso contrastanti degli studiosi della materia. Se si aggiungono poi altre difficoltà derivanti dalla scuole di provenienza, dalle rivalità (non infrequenti) tra archeologi o università, e non ultimo da ideologie o tesi che si vogliono dimostrare o smentire, si vede come l’archeologia appartenga più al gruppo delle materie opinabili che non a quello delle materie scientifiche, cioè “dimostrabili”. Con questo non voglio affatto sminuire l’importanza delle ricerche, grazie alle quali abbiamo la possibilità di conoscere molto della vita che si svolgeva nei secoli passati. Senza gli archeologi saremmo privi di una quantità incredibile di conoscenze che ci permettono di dare spessore e di renderci visivamente presenti luoghi, personaggi e abitudini di cui ci parlano i testi scritti. L’integrazione tra i dati forniti dalle due discipline è necessaria per avere una visione più realistica di un passato che spesso sembra essere l’anticipazione di quanto accade anche ai nostri giorni. Ed è questo forse l’aspetto più importante del nostro interesse per avvenimenti lontani nel tempo ma con agganci molteplici che permettono di capire meglio la vita contemporanea. Ma questo ultimo aspetto può diventare un ulteriore elemento di debolezza per la ricerca archeologica. L’interesse per il presente può a volte prevalere nell’identificazione di particolari che possono essere suscettibili di interpretazioni differenti e contrastanti. In altri termini, c’è il pericolo che la parola data a pietre mute corrisponda più a quanto lo studioso vuole che dicano che non a quanto siano in grado di dire da se stesse. Il pericolo si chiama “ideologia”, da sostenere o da demolire. L’ultimo esempio, in ordine di tempo, di una lettura “ideologica” di ritrovamenti archeologici è dato dall’articolo di Repubblica a cui mi sono riferito. Non parlo dell’ideologia che ha guidato la giornalista a presentare come uno scoop qualcosa vecchio di quindici anni, né dei motivi che hanno spinto il quotidiano a pubblicarlo. Mi rifaccio a quanto dichiarato dall’archeologo Herzog che accusa apertamente altri colleghi precedenti di aver compiuto ricerche con lo scopo preciso di “dimostrare” con le pietre la verità di una loro idea politica. Sia ben chiaro che anch’io condivido questa accusa (come ho scritto con un po’ di ironia in post precedenti), ma mi pare sia lecito chiedersi se anche le ricerche condotte oggi non siano guidate da idee opposte per estorcere dalle pietre mute quelle risposte che si desidera ottenere. E che rispondono a problemi di oggi e non a quelli di duemila anni fa. È troppo facile, e ingeneroso verso gli archeologi seri (ce ne sono, ce ne sono…), fare ricorso alle innumerevoli “bufale archeologiche” di cui è disseminata la storia, a partire già dall’antichità, ben prima del famigerato e deprecato medioevo, per arrivare ai giorni nostri. Basta una veloce navigazione nella rete per avere una documentazione abbondante e convincente di quante cantonate e addirittura di quanti imbrogli autentici sia disseminata la storia di questa materia che è indubbiamente piena di fascino e di suggestioni. Basta pensare ai romanzi e ai film ispirati al mistero che arriva a coinvolgere extraterrestri, situazioni assurde presentate a volte sotto l’etichetta di ricerche svolte sotto l’egida di Università o di comitati scientifici non meglio identificati, cioè UFO! Per le notizie riguardanti i ritrovamenti dei resti dell’arca di Noè, la stampa internazionale ha riservato i mesi estivi, forse per ravvivare l’interesse dei lettori in un periodo pieno di noia. Un’altra “arca” di grande interesse è quella dell’alleanza, custodita in Etiopia così segretamente che nessuno l’ha mai vista. La Bibbia scrive che “non se parlerà più… nessuno ci penserà né se ne ricorderà; essa non sarà rimpianta né rifatta” (libro di Geremia 3,16). E qui sì, che la Bibbia ha sbagliato di grosso, visto l’interesse che invece l’arca continua a suscitare nei nostri contemporanei. Però è lecito chiedersi se, anche in questo caso, sia la Bibbia a sbagliare o non piuttosto i suoi lettori superficiali. Senza parlare del santo Graal con tutte le leggende che gli sono fiorite intorno, e si potrebbe continuare. Ma ritornando all’archeologia che pretende di essere “seria”, dopo la seconda guerra mondiale ha suscitato molto scalpore e destato entusiasmi nei circoli religiosi più tradizionalisti un libro dal titolo molto promettente “La Bibbia aveva ragione”. I frammenti di muro, i cocci di ceramica varia che avrebbero dovuto dare ragione alla Bibbia, “letti” da altri studiosi raccontavano altre storie che nulla avevano in comune con quelle presenti nei libri sacri. “E allora? Dopo la polemica che hai iniziato contro l’articolo incriminato che nega la verità storica della Bibbia, adesso finisci con dire le stesse cose?” potrebbe forse obiettare qualcuno. E no, rispondo io. Fossero anche le stesse cose, le ho presentate in modo diverso e muovono in una direzione che va all’opposto di quella che mi è parso di vedere indicata dall’articolo di Repubblica. Per me, la Bibbia “ha ragione” non perché gliela danno i cocci ma per “le parole” con le quali si rivolge a me per aiutarmi a capire prima di tutto me stesso, poi gli altri, poi il mondo in cui vivo fino ad arrivare a capire che tutto ciò non ha senso se non faccio ricorso a Dio. Per essere ancora più chiaro, io accetto la Bibbia per le indicazioni che mi offre per costruire una società più umana di quella che siamo riusciti a mettere in piedi nel corso dei secoli ispirandoci a idee opposte a quelle suggerite dalle pagine che formano quelli che noi chiamiamo Antico e Nuovo Testamento (tutti e due “insieme” sono per noi cristiani “la Bibbia”). Il rifiuto verso questa società, che sta aumentando in modo preoccupante, dimostra il fallimento completo dell’ideologia soggiacente ad impostazioni di vita disumane che ci hanno reso infelici. Anche se qualcuno si dichiara “contento” anche se “mazziato”, come si dice da qualche parte con un’espressione più completa. Sono convinto che “la Bibbia è vera” perché mi indica un modo di vivere che può rendere felice “me e gli altri” e non solo “me, a dispetto degli altri”. Mi meraviglia che i giovani, contestatori nati, non si buttino come Geremia a nutrire le proprie idee con quelle indicate nelle pagine bibliche e non ce le mettano tutta per cambiare in meglio questa società che giustamente definiscono marcia. Ma qui il discorso si complica perché coinvolge noi adulti che spesso abbiamo presentato come insegnamento della Bibbia quello che la Bibbia non dice. E sì, perché la Bibbia va scavata come un sito archeologico per farne emergere i tesori che contiene e che vuole mettere a nostra disposizione. Ma per scavarla così ci vuole fatica, impegno, costanza, scienza, sudore, fiuto buono, accortezza per saper diffidare delle “bufale” sempre in agguato. L’immagine dello scavatore non è mia: l’ho presa in prestito da Gesù che parla di uno che ha trovato un tesoro in un campo, ne intuisce il valore, vende tutto ciò che possiede per comperare quel campo e impadronirsi del tesoro. A quei tempi le leggi dello stato erano diverse dalle nostre che considerano “tombaroli” quelli che fanno più o meno quello stesso lavoro. Ma attenzione! Anche in questo settore ci sono i falsari, a volte molto bravi. Ecco perché ho inserito il fiuto buono e l‘accortezza tra le virtù di un buon archeologo. Ma forse vale la pena di dedicare un altro post a questo argomento.