È diventata
un’abitudine diffusa usare parole ebraiche per indicare dei termini ritenuti
importanti nel linguaggio biblico e forse anche per dare un certo tono
culturale a quanto si scrive. Capita sempre più spesso di imbattersi non solo
con l’abusato shalom (pace) ma anche
con ruach (vento, spirito), chesed (misericordia), rachamim (viscere, amore). Io stesso
cedo a questa moda che presenta anche aspetti positivi almeno come stimolo alla
curiosità del lettore. Una di queste parole con funzione di specchietto per
attirare l’attenzione è qol che già
nella scrittura presenta un’anomalia per la lingua italiana, con quella “q”
iniziale a cui non siamo abituati. Chi usa questa parola le dà il significato
di “voce” che, nella lingua italiana, indica “il suono articolato dall'essere umano tramite le corde vocali parlando, ridendo, cantando, piangendo o urlando” secondo la definizione
che ne dà Wikipedia.