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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

venerdì 8 aprile 2011

18. La parola che insegna

«Quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente»  (Deuteronomio  4,6).
Questa è solo una delle tante affermazioni della Bibbia che testimoniano la coscienza degli Ebrei di essere il popolo più fortunato di tutti: non perché sia il più numeroso, il più ricco, il più potente ma perché è stato istruito da Dio stesso su ciò che deve fare o non fare per piacere a Lui.

I popoli antichi erano quasi ossessionati dal desiderio di conoscere la volontà dei propri dèi. Da questa conoscenza facevano derivare le proprie fortune, convinti com’erano che le sorti degli uomini dipendevano totalmente dal favore della divinità. Si spiega così il proliferare degli oracoli di varia specie, tutti accomunati dallo stesso intento di comunicare agli uomini i desideri degli dèi per poterli soddisfare e così ingraziarsi le potenze superiori.

Anche il popolo ebraico condivideva queste convinzioni e aveva gli strumenti per soddisfare queste esigenze. I profeti erano considerati i portavoce di Dio. Con linguaggio moderno potremmo forse paragonarli agli “addetti stampa”, incaricati da Dio stesso di comunicare le valutazioni che Dio dava sul comportamento del suo popolo ed impedire così che si prendessero decisioni non condivise da Lui.

Anche i sacerdoti avevano il compito ufficiale di indicare, sia ai re che a tutto il popolo, le scelte da compiere nelle più svariate circostanze per non mettersi contro la volontà divina. Questa grave responsabilità derivava dal fatto che i sacerdoti erano i custodi e gli interpreti autorevoli di quella che anche noi oggi, seguendo la tradizione ebraica, indichiamo come la “TORAH”.

“Legge” o “Insegnamento”?
Gli Ebrei facevano riferimento alla “Torah” intendendo soprattutto quel celebre testo (che noi chiamiamo“i dieci comandamenti”) e che era anche indicato semplicemente come “le dieci parole”. Scritto, secondo la tradizione, su due tavole di pietra, era conservato in una cassa di legno pregiato chiamata “arca dell’alleanza”, custodita nel Tempio di Dio. Soltanto i sacerdoti potevano toccarla e, quindi, accedere direttamente al testo di origine divina.

La storia raccontava che Mosè aveva scritto quelle dieci parole su ordine di Dio per indicare al popolo come doveva comportarsi. Erano dunque “parole” che noi definiremmo “pesanti”, non tanto perché scritte su pietra ma perché esprimevano una volontà superiore dalla quale dipendeva la vita e la morte, la felicità del popolo o la sua rovina.

Se Dio aveva lasciato nelle creature un segno della sua presenza mediante la parola creatrice, che tutti gli uomini potevano leggere e conoscere, nella Torah si era rivolto esclusivamente al popolo che aveva scelto come sua proprietà esclusiva. Più che una “legge” da osservare, Dio aveva confidato ai suoi figli una serie di “insegnamenti” che li aiutassero a risolvere nel modo migliore i casi della vita. Lo scopo della Torah non era quello di mettere degli ostacoli sul cammino e punire chi non li avrebbe superati, ma di indicare la strada giusta perché il popolo vivesse in armonia con il suo Dio.

La stessa etimologia del termine ebraico lo fa derivare da un verbo che significa “insegnare”. Solo col passare del tempo e con l’aumentare di “insegnamenti” che avevano sempre più la forma di leggi impositive raccolte in diversi “codici”, si è giunti a dare alla Torah il senso che a noi appare come ovvio e univoco.

Le conseguenze psicologiche di questo slittamento di significato sono state drammatiche. Invece di rallegrarci per avere una “parola di Dio che insegna come vivere felici” l’abbiamo sentita come un’insopportabile intrusione di un legislatore lontano dai nostri interessi, che vuole imporre i suoi capricci immotivati per rovinarci la vita.

Siamo lontani dalla gioia, addirittura entusiasmo, con cui la Bibbia presenta la Torah vista come la somma di tutti i benefici di cui Dio ha ricolmato il suo popolo e che ha portato un autore sacro a scrivere: «Dio ha scrutato tutta la via della sapienza e ne ha fatto dono a Giacobbe suo servo, a Israele suo diletto. Per questo è apparsa sulla terra e ha vissuto fra gli uomini. Essa è il libro dei decreti di Dio, è la legge che sussiste nei secoli; quanti si attengono ad essa avranno la vita, quanti l'abbandonano moriranno. Beati noi, o Israele, perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato» (Baruc 3,37-38; 4,1.4).

Anche in questo caso, ci rendiamo conto del valore straordinario della parola, capace di modificare radicalmente il senso della realtà.



Simhat torah: La gioia della Torah
«… la strada è bloccata da duecento persone, giovani e vecchi, che volteggiano, saltellano e si tengono per mano… Disseminate qua e là alcune delle persone che danzano stringono tra le braccia grandi rotoli di pergamena arrotolati su se stessi e coperti da drappi di seta. Questa notte gli ebrei danzano con la Torah… in una quasi euforia per ringraziare Dio del dono della Legge. […] Per gli ebrei la Legge non è un fardello, un impaccio, o un ostacolo a vivere una vita pienamente umana e vitalmente spirituale. La Legge (Torah) è una condizione per essere umani. È un dono generoso che Dio concede al suo popolo semplicemente per amore. Ma c’è poco da meravigliarsi che molti cristiani abbiano difficoltà con questo concetto. […]Mi auguro che quei cristiani che ancora rappresentano l’ebraismo cin l’immagine di una figura piegata e oppressa, schiacciata al punto da crollare sotto il peso eccessivo della Legge, possano trascorrere una serata nel turbinio di una Simhat Torah in strada. Questi danzatori allegri sono tutt’altro che prostrati. Sembrano librarsi in aria».
(Da Le feste degli Ebrei, di Harvey Cox, Mondadori, pag. 93-94)



Si può mettere un qualcosa di spiegazione della modifica nell’impostazione della pagina e della scomparsa del commento al vangelo domenicale a partire dall’Avvento. 

Giovanni Boggio (Biblista)


 





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