UNA MISERICORDIA DAI MILLE VOLTI (1)
I pericoli derivanti
da una lettura tematica della Bibbia
Qualche premessa
Quando mi è stato chiesto un
contributo per aiutare la riflessione sul tema della misericordia non ho avuto
esitazioni e d’istinto ho subito accettato. Avevo già affrontato l’argomento
più volte in diverse occasioni e mi ero reso conto che qualcosa non funzionava
nel modo di presentare quella che ritengo essere la caratteristica forse più
confortante del ritratto di Dio che ci offre la Bibbia. Mi sono sempre trovato
di fronte ad una raccolta di citazioni bibliche accompagnate da commenti
entusiastici che esaltavano la bontà di Dio senza limiti anche verso i
peccatori più incalliti. Niente da eccepire, sono frasi contenute nella Bibbia
ebraica, nella Bibbia greca e diventate il tema portante del Nuovo Testamento.
Ma non sta qui il problema.
Il problema nasce quando qualcuno
raccoglie una lunga serie di citazioni bibliche che attribuiscono a Dio
caratteristiche ben diverse da quella risultante dall’elenco “buonista” e ti
sbatte in faccia la descrizione di una divinità violenta, crudele, vendicativa,
assetata di sangue, che ordina ai suoi fedeli di massacrare i nemici, di
sfracellare sulle rocce senza pietà i bambini innocenti. Di fronte a testi di
questo tipo la reazione della stragrande maggioranza della gente comune è
dapprima di incredulità sembrando impossibile che nella Bibbia siano scritte
quelle cose. Quando poi si verifica che ci sono davvero si ha il rifiuto
sdegnato di tutta la Bibbia o, nella migliore delle ipotesi, soltanto
dell’Antico Testamento per rifugiarsi nelle pagine rasserenanti del Vangelo. E
con questo si dimostra una volta di più che si è letto anche il Vangelo con il
metodo non corretto seguito nella ricerca dei testi veterotestamentari che ci
fanno comodo.
Ho l’impressione che ci si
rivolga alla Bibbia con lo stesso atteggiamento con cui si fa la spesa al
supermercato. Si compera solo quello che piace, quello che soddisfa i bisogni
del momento ignorando tutti gli altri prodotti. Non solo, ma poi si descrive
l’emporio come se fosse un negozio specializzato che offre soltanto la merce di
proprio gradimento. Come se fosse un’erboristeria, una gelateria, un salone di
auto dove si trovano solo prodotti dello stesso genere. Per rimanere nell’immagine
proposta, la Bibbia effettivamente contiene di tutto e offre l’opportunità di
trovare quello che ci serve. Ma bisogna saper scegliere in modo responsabile
con la consapevolezza che l’offerta è più ampia dei nostri interessi immediati.
È molto bella l’attenzione
crescente verso la Bibbia, considerata sempre più come il punto di riferimento
irrinunciabile per le scelte di vita. Però la tentazione di farne una lettura
finalizzata a dimostrare la validità delle proprie idee è forte. Direi
irresistibile, visto l’uso che ne è stato fatto in passato e che sembra
continuare anche in questi anni.
Dopo i secoli in cui si è
preferito mettere da parte i problemi che suscitava la lettura integrale degli
scritti su cui si fondava la nostra fede, con il Concilio Vaticano II sembrava
aprirsi per la Chiesa cattolica una nuova stagione per i rapporti con la
Bibbia. Effettivamente si sono verificati dei cambiamenti sostanziali
nell’impostazione degli studi biblici che hanno fatto leggere con una
prospettiva nuova i testi considerati sacri. Il cambiamento ha interessato non
solo gli studiosi professionisti ma anche l’insieme dei credenti. Dal clima di
timore malinteso, che portava all’abbandono della Bibbia, si è passati alla
diffusione capillare e multiforme di quei libri che finalmente venivano
presentati con l’importanza riconosciuta da tutta la tradizione. Dalla
proibizione anche solo del semplice possesso si è arrivati all’obbligo morale
di considerarli indispensabili per garantire le basi di una vita cristiana consapevole
e coerente.
I progressi in questo senso sono
evidenti, ma non hanno ancora portato i cattolici a quella familiarità con la
Bibbia auspicata e caldeggiata dal Concilio. I sospetti e le paure alimentate
nel corso dei secoli precedenti continuano ad influenzare in modo subdolo il
rapporto con dei testi che da una parte esercitano un fascino che va oltre la
semplice curiosità, ma dall’altra presentano difficoltà che a volte sembrano
insuperabili. Molti avevano iniziato la lettura e lo studio della Bibbia e poi
si sono arresi confinandola di nuovo negli scaffali polverosi della biblioteca
di casa, senza che vi fosse bisogno delle proibizioni dei tempi passati.
È inutile nasconderlo: la Bibbia
è difficile. Le pie scorciatoie inventate per dimostrare il contrario non
reggono di fronte all’evidenza delle affermazioni del testo biblico. Purtroppo
si tratta di alibi inconsistenti ma che si sono radicati profondamente nella
mentalità comune grazie allo zelo di catechisti e predicatori animati
certamente da buone intenzioni ma anche di scarsa attenzione al significato
delle parole.
Non ho certo la pretesa di dare
risposte a tutte le domande che nascono quando si legge con attenzione la
Bibbia. Mi limito ad evidenziare alcuni problemi proponendo qualche indicazione
per trovare personalmente la soluzione. In altre parole vorrei suggerire un
metodo di lettura basato sul testo che ci è stato tramandato, dando importanza
alla sua forma letteraria.
Attenzione ai “luoghi comuni”
Non so quante volte ho dovuto
smentire, con grande stupore e incredulità di chi mi ascoltava, il luogo comune
che le parabole del vangelo siano facili e comprensibili a tutti. Per fortuna
mi bastava leggere il testo del vangelo che ripetutamente afferma il contrario,
per smontare quella che potrei chiamare “pia fraus”, per usare una definizione
applicata ad un’altra situazione, con lo scopo di presentare in modo gradito al
pubblico di oggi l’insegnamento di Gesù tutt’altro che accomodante.
È evidente che non basta leggere
il vangelo dove è scritto che gli apostoli non avevano capito la parabola del
seminatore, con il commento di Gesù che ribadisce la sua scelta di usare un
linguaggio oscuro (Matteo 13,1-35; Marco 4,1-20; Luca 8,4-18). Bisogna spiegare
il contesto, far capire le motivazioni di un comportamento anche per noi
inspiegabile. A questo punto tutto acquista un significato non solo per gli
apostoli ma anche per noi che ci sentiamo coinvolti dalla parola del Maestro.
Non è onesto ignorare la difficoltà oggettiva di un testo e non è nemmeno
rispettoso della dignità dei lettori moderni, ritenuti incapaci di capire, come
se fossero degli eterni bambini da indottrinare. Penso che la stima della
Bibbia e la fiducia nei suoi lettori debbano essere le due linee guida per ogni
riferimento al testo che consideriamo sacro.
Per venire al nostro tema, vorrei
verificare con qualche testo scelto dal vasto repertorio delle citazioni
riguardanti la misericordia, se il messaggio che generalmente se ne ricava
corrisponde a quello che effettivamente ci comunica la Bibbia. Il metodo della
verifica è molto semplice e tutti lo possono applicare senza bisogno di studi
particolari. Si tratta solo di leggere i testi nel loro contesto letterario,
cioè non fermandosi solo sulla parola “misericordia” ma tenendo conto anche di
ciò che la precede e la segue. A questo punto forse nasce qualche domanda,
anche imbarazzante, che richiede una spiegazione. E qui devono intervenire gli
“esperti” che aiutano ad allargare il contesto all’ambiente storico, culturale,
religioso per poter capire che cosa voleva dire chi ha scritto quel testo, che
cosa capivano i primi lettori o ascoltatori e che cosa può significare anche
per noi oggi.
Può sembrare complicato ma vale
la pena di provarci perché darà la soddisfazione di scoprire qualcosa che era
sfuggito ad una lettura affrettata. Qualche esempio potrà aiutare e
incoraggiare a continuare anche personalmente la ricerca dei messaggi autentici
della Bibbia.
Mettiamoci al lavoro
Incomincerei con un testo
celebre, molto citato quando si parla del nostro tema. Si tratta della
descrizione che Dio fa di stesso come viene presentata nel racconto del libro
dell’Esodo che riferisce la seconda scrittura delle tavole della legge (i dieci
comandamenti) avvenuta dopo la distruzione delle prime. Mi rendo conto che già
questa ambientazione può creare qualche difficoltà ad un cattolico di
formazione “catechistica”. Il testo è quello di Esodo 34,6 “Dio
misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”.
Affermazione bellissima e confortante, presente nella Bibbia. Ma proseguiamo
nella lettura del versetto seguente “… ma non lascia senza punizione, che
castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e
alla quarta generazione”. È questo il vero messaggio che ci propone la
Bibbia nel comporre l’identikit di Dio: misericordioso ma esigente,
misericordia e castigo. Ci piaccia o non ci piaccia.
Fermare la lettura e l’attenzione
sul v. 6 e sulla prima parte del v. 7 corrisponde a quanto si fa spesso con il racconto
della prima edizione del decalogo distrutta dallo stesso Mosè che l’ha
sostituita con una nuova (stranamente è conosciuta la “prima edizione” mentre
la seconda è riportata solo nella Bibbia ed è sconosciuta ai più). Il testo
introduce solennemente la proclamazione dei dieci comandamenti (Esodo
20,5-6). I due termini in questione si trovano in ordine inverso: castigo e
misericordia. Nel v. 5 si presenta “un Dio geloso, che punisce la colpa dei
padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi
odiano”.
Molti si fermano a questo punto
scandalizzati di fronte all’autoritratto attribuito a Dio stesso e rifiutano
l’immagine di una divinità vendicativa e per di più contro degli innocenti.
Sarebbe una reazione giusta se il testo non continuasse così “ma che
dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e
osservano i miei comandi”. Il senso è evidente. Si tratta del paragone fra
due numeri, tre o quattro contro mille. Si afferma che i castighi mandati da
Dio sono una piccola cosa di fronte alla sua misericordia, come tre o quattro
lo sono di fronte a mille. Quella che ad un primo impatto sembrava una
dichiarazione di crudeltà spietata diventa invece l’affermazione più consolante
di tutta la Bibbia. Ma bisogna rispettare il testo per quello che dice e capire
il senso delle parole.
Anche in questo caso una lettura
“selettiva” del testo può portare al fraintendimento del suo significato con
risultati devastanti. Il significato del testo si raggiunge soltanto se lo
leggiamo nel contesto letterario, cioè nella sua integrità. Dobbiamo accettarlo
per quello che è, non per quello che ci fa comodo. Dopo ci chiederemo perché
gli antichi si erano fatta questa idea di Dio e i tecnici daranno le
informazioni del caso. Dal confronto tra i due testi si vede che coincidono
nell’affermare la misericordia di Dio che però viene legata strettamente alla
sua severità.
A questo proposito anche nel
libro di Ezechiele si affronta questo tema con espressioni identiche, a
dimostrazione che il problema creava difficoltà tra il popolo anche in quegli
anni. “Colui che ha peccato e non altri deve morire; il figlio non sconta
l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Al giusto sarà accreditata
la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità” (Ezechiele 18,20).
E ancora continuando sullo stesso tema: “Forse che io ho piacere della morte
del malvagio – dice il Signore Dio – o non piuttosto che desista dalla sua
condotta e viva?” (18,23).
In questi testi di Ezechiele e in
molti altri dello stesso tipo non si trova il termine “misericordia” ma il
messaggio che viene comunicato è lo stesso di quello evidenziato nel testo di
Esodo: Dio perdona anche le colpe peggiori a patto che il colpevole desista dal
suo comportamento malvagio. In altri termini, Dio rispetta la libertà che ha
donato all’uomo e accetta le sue scelte ma non come uno spettatore
indifferente.
Per usare un linguaggio sportivo
potremmo dire che Dio non solo fa il tifo per l’uomo, ma lo allena, lo stimola,
gli proibisce determinate cose, gli impone orari e ritmi di vita, gli prepara
lo schema del gioco, gli fornisce gli alimenti per la dieta giusta. Tutto ciò
non perché lo odia, perché vuole punirlo per qualche colpa ma perché vuole portarlo a vincere la
competizione contro il male ed è contento quando gli può dare il premio che si
è conquistato. E non si sostituisce all’uomo perché l’uomo sia e si senta il
protagonista di una sfida prima di tutto contro se stesso.
Vista in questa prospettiva la
vicenda storica dell’umanità acquista un significato esaltante dove anche le
tragedie più sconvolgenti e i fallimenti più clamorosi assumono un valore non
in quanto tali ma come preparazione necessaria per il raggiungimento di un
traguardo che ripaga ogni sforzo. Il male resterà sempre male, non cambierà mai
la sua natura ma può diventare lo strumento che porta al bene assoluto.
Croce e misericordia?
La massima espressione di questa
realtà presentata dalla Bibbia nella sua interezza (intendo: Antico e Nuovo
Testamento) è Gesù sulla croce: il fallimento totale diventato lo strumento per
accedere alla vittoria. Non può esserci risurrezione senza la morte. I due
termini sono inseparabili, come lo sono la misericordia e la severità di Dio.
Diversamente non riesco a capire l‘affermazione che nella croce si manifesta
l’amore supremo di Dio.
Purtroppo i cristiani hanno posto
l’accento prevalentemente sul sacrificio, sulla sofferenza, sulla rinuncia, sul
dolore presentando queste realtà negative come l’ideale della vita vissuta
secondo il vangelo. E abbiamo riempito il calendario di santi e sante che sono
stati dichiarati tali “nonostante” (mi sembra di dover dire) abbiano vissuto un
vangelo dimezzato. La lettura selettiva dei testi biblici ha portato con sé
conseguenze disastrose che possono ripetersi se continuiamo ad estrarre dalle pagine bibliche soltanto i
testi che riteniamo in armonia con le mode correnti facendoli passare come
parola di Dio.
L’argomento potrebbe essere
sviluppato ampiamente ma ci porterebbe fuori da quanto mi è stato richiesto. E allora
rivolgiamoci ai Salmi che sono una miniera traboccante di misericordia. Lo
facciamo però con l’occhio attento ad evitare la trappola della lista della
spesa. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Il Salmo 146 per esempio, elenca una
quantità di interventi divini a favore dei poveri e degli indigenti ed esalta
la multiforme bontà di Dio, dopo aver messo in guardia contro l’inaffidabilità
degli uomini. È il primo richiamo a prestare attenzione ai lati oscuri della
vita. A pensarci bene anche il lungo elenco di bisognosi: oppressi, affamati,
prigionieri, ciechi, vittime di cadute, stranieri, orfani e vedove non è che
presenti un panorama rasserenante anzi, direi che è piuttosto inquietante. Sono
appunto i “miseri” a cui presta attenzione concreta il “cuore” di Dio. Il
quale, dopo essersi dimostrato tanto buono con chi lo merita si dimostra
altrettanto severo verso chi è la causa dei mali. Ed ecco la conclusione
fulminante ”ma sconvolge le vie dei malvagi” (Salmo 146,9c). Tre
paroline (in ebraico) che sono il contrappeso necessario per riequilibrare la
lunga descrizione della bontà divina. Senza quella frecciata finale gli
interventi a favore dei bisognosi avrebbero avuto il tono di una lista
presentata allo sportello della pubblica assistenza. La stessa costruzione
letteraria si ripete nel Salmo seguente anche se in modo più sintetico (Salmo
147,3.6) ma non meno efficace.
È questo il vero volto della
misericordia delineato dalla Bibbia che presenta un Dio che se vuole difendere
i poveri e gli oppressi deve impedire con ogni mezzo la sopraffazione e la
violenza. Ma si obietta che potrebbe evitare che i malvagi portino a termine i
loro progetti criminali. Questo però non rispetterebbe la libertà e renderebbe
l’uomo un automa che esegue un piano preordinato e di cui non è responsabile.
Un intervento di Dio a questo livello sarebbe il vero fallimento del progetto
divino mirante alla crescita dell’umanità fino a condividere facendolo proprio
il punto di vista di Dio.
Il profeta Geremia ha indicato
questo processo di maturazione con un’espressione significativa che sarà
assunta da Gesù per definire la sua opera di liberazione dell’uomo dal peccato:
la nuova alleanza. Vedere il mondo con gli occhi di Dio, giudicare la vita come
la giudica Dio, comportarsi per convinzione secondo il volere di Dio è stato
l’atteggiamento di Gesù che lo ha indicato come mèta per tutti i suoi
discepoli.
(continua)
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