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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

lunedì 7 dicembre 2015

UNA MISERICORDIA DAI MILLE VOLTI


UNA MISERICORDIA DAI MILLE VOLTI (1)

I pericoli derivanti da una lettura tematica della Bibbia

Qualche premessa

Quando mi è stato chiesto un contributo per aiutare la riflessione sul tema della misericordia non ho avuto esitazioni e d’istinto ho subito accettato. Avevo già affrontato l’argomento più volte in diverse occasioni e mi ero reso conto che qualcosa non funzionava nel modo di presentare quella che ritengo essere la caratteristica forse più confortante del ritratto di Dio che ci offre la Bibbia. Mi sono sempre trovato di fronte ad una raccolta di citazioni bibliche accompagnate da commenti entusiastici che esaltavano la bontà di Dio senza limiti anche verso i peccatori più incalliti. Niente da eccepire, sono frasi contenute nella Bibbia ebraica, nella Bibbia greca e diventate il tema portante del Nuovo Testamento. Ma non sta qui il problema.

Il problema nasce quando qualcuno raccoglie una lunga serie di citazioni bibliche che attribuiscono a Dio caratteristiche ben diverse da quella risultante dall’elenco “buonista” e ti sbatte in faccia la descrizione di una divinità violenta, crudele, vendicativa, assetata di sangue, che ordina ai suoi fedeli di massacrare i nemici, di sfracellare sulle rocce senza pietà i bambini innocenti. Di fronte a testi di questo tipo la reazione della stragrande maggioranza della gente comune è dapprima di incredulità sembrando impossibile che nella Bibbia siano scritte quelle cose. Quando poi si verifica che ci sono davvero si ha il rifiuto sdegnato di tutta la Bibbia o, nella migliore delle ipotesi, soltanto dell’Antico Testamento per rifugiarsi nelle pagine rasserenanti del Vangelo. E con questo si dimostra una volta di più che si è letto anche il Vangelo con il metodo non corretto seguito nella ricerca dei testi veterotestamentari che ci fanno comodo.

Ho l’impressione che ci si rivolga alla Bibbia con lo stesso atteggiamento con cui si fa la spesa al supermercato. Si compera solo quello che piace, quello che soddisfa i bisogni del momento ignorando tutti gli altri prodotti. Non solo, ma poi si descrive l’emporio come se fosse un negozio specializzato che offre soltanto la merce di proprio gradimento. Come se fosse un’erboristeria, una gelateria, un salone di auto dove si trovano solo prodotti dello stesso genere. Per rimanere nell’immagine proposta, la Bibbia effettivamente contiene di tutto e offre l’opportunità di trovare quello che ci serve. Ma bisogna saper scegliere in modo responsabile con la consapevolezza che l’offerta è più ampia dei nostri interessi immediati.

È molto bella l’attenzione crescente verso la Bibbia, considerata sempre più come il punto di riferimento irrinunciabile per le scelte di vita. Però la tentazione di farne una lettura finalizzata a dimostrare la validità delle proprie idee è forte. Direi irresistibile, visto l’uso che ne è stato fatto in passato e che sembra continuare anche in questi anni.

Dopo i secoli in cui si è preferito mettere da parte i problemi che suscitava la lettura integrale degli scritti su cui si fondava la nostra fede, con il Concilio Vaticano II sembrava aprirsi per la Chiesa cattolica una nuova stagione per i rapporti con la Bibbia. Effettivamente si sono verificati dei cambiamenti sostanziali nell’impostazione degli studi biblici che hanno fatto leggere con una prospettiva nuova i testi considerati sacri. Il cambiamento ha interessato non solo gli studiosi professionisti ma anche l’insieme dei credenti. Dal clima di timore malinteso, che portava all’abbandono della Bibbia, si è passati alla diffusione capillare e multiforme di quei libri che finalmente venivano presentati con l’importanza riconosciuta da tutta la tradizione. Dalla proibizione anche solo del semplice possesso si è arrivati all’obbligo morale di considerarli indispensabili per garantire le basi di una vita cristiana consapevole e coerente.

I progressi in questo senso sono evidenti, ma non hanno ancora portato i cattolici a quella familiarità con la Bibbia auspicata e caldeggiata dal Concilio. I sospetti e le paure alimentate nel corso dei secoli precedenti continuano ad influenzare in modo subdolo il rapporto con dei testi che da una parte esercitano un fascino che va oltre la semplice curiosità, ma dall’altra presentano difficoltà che a volte sembrano insuperabili. Molti avevano iniziato la lettura e lo studio della Bibbia e poi si sono arresi confinandola di nuovo negli scaffali polverosi della biblioteca di casa, senza che vi fosse bisogno delle proibizioni dei tempi passati.

È inutile nasconderlo: la Bibbia è difficile. Le pie scorciatoie inventate per dimostrare il contrario non reggono di fronte all’evidenza delle affermazioni del testo biblico. Purtroppo si tratta di alibi inconsistenti ma che si sono radicati profondamente nella mentalità comune grazie allo zelo di catechisti e predicatori animati certamente da buone intenzioni ma anche di scarsa attenzione al significato delle parole.

Non ho certo la pretesa di dare risposte a tutte le domande che nascono quando si legge con attenzione la Bibbia. Mi limito ad evidenziare alcuni problemi proponendo qualche indicazione per trovare personalmente la soluzione. In altre parole vorrei suggerire un metodo di lettura basato sul testo che ci è stato tramandato, dando importanza alla sua forma letteraria.

 Attenzione ai “luoghi comuni”

Non so quante volte ho dovuto smentire, con grande stupore e incredulità di chi mi ascoltava, il luogo comune che le parabole del vangelo siano facili e comprensibili a tutti. Per fortuna mi bastava leggere il testo del vangelo che ripetutamente afferma il contrario, per smontare quella che potrei chiamare “pia fraus”, per usare una definizione applicata ad un’altra situazione, con lo scopo di presentare in modo gradito al pubblico di oggi l’insegnamento di Gesù tutt’altro che accomodante.

È evidente che non basta leggere il vangelo dove è scritto che gli apostoli non avevano capito la parabola del seminatore, con il commento di Gesù che ribadisce la sua scelta di usare un linguaggio oscuro (Matteo 13,1-35; Marco 4,1-20; Luca 8,4-18). Bisogna spiegare il contesto, far capire le motivazioni di un comportamento anche per noi inspiegabile. A questo punto tutto acquista un significato non solo per gli apostoli ma anche per noi che ci sentiamo coinvolti dalla parola del Maestro. Non è onesto ignorare la difficoltà oggettiva di un testo e non è nemmeno rispettoso della dignità dei lettori moderni, ritenuti incapaci di capire, come se fossero degli eterni bambini da indottrinare. Penso che la stima della Bibbia e la fiducia nei suoi lettori debbano essere le due linee guida per ogni riferimento al testo che consideriamo sacro.

Per venire al nostro tema, vorrei verificare con qualche testo scelto dal vasto repertorio delle citazioni riguardanti la misericordia, se il messaggio che generalmente se ne ricava corrisponde a quello che effettivamente ci comunica la Bibbia. Il metodo della verifica è molto semplice e tutti lo possono applicare senza bisogno di studi particolari. Si tratta solo di leggere i testi nel loro contesto letterario, cioè non fermandosi solo sulla parola “misericordia” ma tenendo conto anche di ciò che la precede e la segue. A questo punto forse nasce qualche domanda, anche imbarazzante, che richiede una spiegazione. E qui devono intervenire gli “esperti” che aiutano ad allargare il contesto all’ambiente storico, culturale, religioso per poter capire che cosa voleva dire chi ha scritto quel testo, che cosa capivano i primi lettori o ascoltatori e che cosa può significare anche per noi oggi.

Può sembrare complicato ma vale la pena di provarci perché darà la soddisfazione di scoprire qualcosa che era sfuggito ad una lettura affrettata. Qualche esempio potrà aiutare e incoraggiare a continuare anche personalmente la ricerca dei messaggi autentici della Bibbia.

 Mettiamoci al lavoro

Incomincerei con un testo celebre, molto citato quando si parla del nostro tema. Si tratta della descrizione che Dio fa di stesso come viene presentata nel racconto del libro dell’Esodo che riferisce la seconda scrittura delle tavole della legge (i dieci comandamenti) avvenuta dopo la distruzione delle prime. Mi rendo conto che già questa ambientazione può creare qualche difficoltà ad un cattolico di formazione “catechistica”. Il testo è quello di Esodo 34,6 “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”. Affermazione bellissima e confortante, presente nella Bibbia. Ma proseguiamo nella lettura del versetto seguente “… ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”. È questo il vero messaggio che ci propone la Bibbia nel comporre l’identikit di Dio: misericordioso ma esigente, misericordia e castigo. Ci piaccia o non ci piaccia.

Fermare la lettura e l’attenzione sul v. 6 e sulla prima parte del v. 7 corrisponde a quanto si fa spesso con il racconto della prima edizione del decalogo distrutta dallo stesso Mosè che l’ha sostituita con una nuova (stranamente è conosciuta la “prima edizione” mentre la seconda è riportata solo nella Bibbia ed è sconosciuta ai più). Il testo introduce solennemente la proclamazione dei dieci comandamenti (Esodo 20,5-6). I due termini in questione si trovano in ordine inverso: castigo e misericordia. Nel v. 5 si presenta “un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano”.

Molti si fermano a questo punto scandalizzati di fronte all’autoritratto attribuito a Dio stesso e rifiutano l’immagine di una divinità vendicativa e per di più contro degli innocenti. Sarebbe una reazione giusta se il testo non continuasse così “ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi”. Il senso è evidente. Si tratta del paragone fra due numeri, tre o quattro contro mille. Si afferma che i castighi mandati da Dio sono una piccola cosa di fronte alla sua misericordia, come tre o quattro lo sono di fronte a mille. Quella che ad un primo impatto sembrava una dichiarazione di crudeltà spietata diventa invece l’affermazione più consolante di tutta la Bibbia. Ma bisogna rispettare il testo per quello che dice e capire il senso delle parole.

Anche in questo caso una lettura “selettiva” del testo può portare al fraintendimento del suo significato con risultati devastanti. Il significato del testo si raggiunge soltanto se lo leggiamo nel contesto letterario, cioè nella sua integrità. Dobbiamo accettarlo per quello che è, non per quello che ci fa comodo. Dopo ci chiederemo perché gli antichi si erano fatta questa idea di Dio e i tecnici daranno le informazioni del caso. Dal confronto tra i due testi si vede che coincidono nell’affermare la misericordia di Dio che però viene legata strettamente alla sua severità.

A questo proposito anche nel libro di Ezechiele si affronta questo tema con espressioni identiche, a dimostrazione che il problema creava difficoltà tra il popolo anche in quegli anni. “Colui che ha peccato e non altri deve morire; il figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità” (Ezechiele 18,20). E ancora continuando sullo stesso tema: “Forse che io ho piacere della morte del malvagio – dice il Signore Dio – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?” (18,23).

In questi testi di Ezechiele e in molti altri dello stesso tipo non si trova il termine “misericordia” ma il messaggio che viene comunicato è lo stesso di quello evidenziato nel testo di Esodo: Dio perdona anche le colpe peggiori a patto che il colpevole desista dal suo comportamento malvagio. In altri termini, Dio rispetta la libertà che ha donato all’uomo e accetta le sue scelte ma non come uno spettatore indifferente.

Per usare un linguaggio sportivo potremmo dire che Dio non solo fa il tifo per l’uomo, ma lo allena, lo stimola, gli proibisce determinate cose, gli impone orari e ritmi di vita, gli prepara lo schema del gioco, gli fornisce gli alimenti per la dieta giusta. Tutto ciò non perché lo odia, perché vuole punirlo per qualche colpa  ma perché vuole portarlo a vincere la competizione contro il male ed è contento quando gli può dare il premio che si è conquistato. E non si sostituisce all’uomo perché l’uomo sia e si senta il protagonista di una sfida prima di tutto contro se stesso.

Vista in questa prospettiva la vicenda storica dell’umanità acquista un significato esaltante dove anche le tragedie più sconvolgenti e i fallimenti più clamorosi assumono un valore non in quanto tali ma come preparazione necessaria per il raggiungimento di un traguardo che ripaga ogni sforzo. Il male resterà sempre male, non cambierà mai la sua natura ma può diventare lo strumento che porta al bene assoluto.

Croce e misericordia?

La massima espressione di questa realtà presentata dalla Bibbia nella sua interezza (intendo: Antico e Nuovo Testamento) è Gesù sulla croce: il fallimento totale diventato lo strumento per accedere alla vittoria. Non può esserci risurrezione senza la morte. I due termini sono inseparabili, come lo sono la misericordia e la severità di Dio. Diversamente non riesco a capire l‘affermazione che nella croce si manifesta l’amore supremo di Dio.

Purtroppo i cristiani hanno posto l’accento prevalentemente sul sacrificio, sulla sofferenza, sulla rinuncia, sul dolore presentando queste realtà negative come l’ideale della vita vissuta secondo il vangelo. E abbiamo riempito il calendario di santi e sante che sono stati dichiarati tali “nonostante” (mi sembra di dover dire) abbiano vissuto un vangelo dimezzato. La lettura selettiva dei testi biblici ha portato con sé conseguenze disastrose che possono ripetersi se continuiamo ad  estrarre dalle pagine bibliche soltanto i testi che riteniamo in armonia con le mode correnti facendoli passare come parola di Dio.

L’argomento potrebbe essere sviluppato ampiamente ma ci porterebbe fuori da quanto mi è stato richiesto. E allora rivolgiamoci ai Salmi che sono una miniera traboccante di misericordia. Lo facciamo però con l’occhio attento ad evitare la trappola della lista della spesa. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Il Salmo 146 per esempio, elenca una quantità di interventi divini a favore dei poveri e degli indigenti ed esalta la multiforme bontà di Dio, dopo aver messo in guardia contro l’inaffidabilità degli uomini. È il primo richiamo a prestare attenzione ai lati oscuri della vita. A pensarci bene anche il lungo elenco di bisognosi: oppressi, affamati, prigionieri, ciechi, vittime di cadute, stranieri, orfani e vedove non è che presenti un panorama rasserenante anzi, direi che è piuttosto inquietante. Sono appunto i “miseri” a cui presta attenzione concreta il “cuore” di Dio. Il quale, dopo essersi dimostrato tanto buono con chi lo merita si dimostra altrettanto severo verso chi è la causa dei mali. Ed ecco la conclusione fulminante ”ma sconvolge le vie dei malvagi” (Salmo 146,9c). Tre paroline (in ebraico) che sono il contrappeso necessario per riequilibrare la lunga descrizione della bontà divina. Senza quella frecciata finale gli interventi a favore dei bisognosi avrebbero avuto il tono di una lista presentata allo sportello della pubblica assistenza. La stessa costruzione letteraria si ripete nel Salmo seguente anche se in modo più sintetico (Salmo 147,3.6) ma non meno efficace.

È questo il vero volto della misericordia delineato dalla Bibbia che presenta un Dio che se vuole difendere i poveri e gli oppressi deve impedire con ogni mezzo la sopraffazione e la violenza. Ma si obietta che potrebbe evitare che i malvagi portino a termine i loro progetti criminali. Questo però non rispetterebbe la libertà e renderebbe l’uomo un automa che esegue un piano preordinato e di cui non è responsabile. Un intervento di Dio a questo livello sarebbe il vero fallimento del progetto divino mirante alla crescita dell’umanità fino a condividere facendolo proprio il punto di vista di Dio.

Il profeta Geremia ha indicato questo processo di maturazione con un’espressione significativa che sarà assunta da Gesù per definire la sua opera di liberazione dell’uomo dal peccato: la nuova alleanza. Vedere il mondo con gli occhi di Dio, giudicare la vita come la giudica Dio, comportarsi per convinzione secondo il volere di Dio è stato l’atteggiamento di Gesù che lo ha indicato come mèta per tutti i suoi discepoli.
(continua)

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