GUERRA AGLI SPECCHI?
Gli avvenimenti drammatici di questi giorni (non mi riferisco solo a
quanto accaduto in Europa) hanno riproposto un tema ricorrente riguardante il
rapporto tra la violenza e i testi considerati sacri dalle tre religioni monoteiste,
da sempre in contrasto tra di loro.
In passato le contrapposizioni erano motivate soprattutto da questioni
strettamente teologiche. Oggi l’interesse si è spostato ai comportamenti degli
uomini, suggeriti o imposti dai libri di riferimento delle diverse fedi. Questa
nuova sensibilità ha introdotto, nel mondo che consideriamo “occidentale”, una
quarta visione della vita che cerca soltanto nella ragione i principi
ispiratori dell’agire umano, senza ricorrere a leggi promulgate in nome di
qualche divinità.
Nonostante le dichiarazioni in contrario, la visione “laica” della vita
ha finito per trasformarsi in una specie di religione, con i suoi dogmi, i suoi
libri ispiratori, i suoi codici di comportamento, i suoi riti, le sue promesse
di felicità, puntualmente non realizzate.
Chi conosce la Bibbia e il Corano sa dare un nome preciso a questa
religione non dichiarata: idolatria. Nel
mondo antico si esprimeva con gli stessi segni e con lo stesso vocabolario
delle altre religioni; oggi ha cambiato abbigliamenti e usa un linguaggio
diverso ma in realtà è sempre la stessa.
Oggi è di moda parlare del fallimento delle religioni tradizionali, ed
è facile vederne i segni. Però è altrettanto evidente che la “quarta religione”
non è riuscita a creare quel mondo ideale promesso dai suoi ideatori e
sostenitori, nonostante la profusione di mezzi di cui dispongono.
Non sono affatto un catastrofista, non appartengo alla categoria dei
sostenitori del “tanto peggio, tanto meglio”. Cerco solo di usare davvero
quella ragione tanto sbandierata e altrettanto maltrattata da quelli che la
strumentalizzano a proprio esclusivo vantaggio. Da qualsiasi parte si trovino,
abbiano o no tessere di appartenenza, rivestano cariche onorifiche, siano
ritenuti intoccabili.
Siate sinceri: state pensando che ho una buona dose di presunzione.
Avete ragione, presumo di essere uno specchio. Questo oggetto così comune non
ha niente di suo se non la caratteristica di riflettere la realtà. Non la crea,
non la modifica, non elimina i difetti, non raddrizza le linee storte, non
cancella le rughe. Non è un software di ritocco fotografico. Lascia le cose
come sono, le rispetta.
“Specchio delle mie brame…”
Ha un solo difetto: non presenta le immagini che noi vorremmo vedere.
Noi continuiamo a considerarlo, come la regina della favola, “lo specchio delle
nostre brame” e quando, impietoso, ci presenta il nostro vero ritratto ce la
prendiamo con lui e vorremmo farlo a pezzi, perché ci dà fastidio.
È più facile e comodo eliminare l’immagine piuttosto che modificare la
realtà rappresentata, soprattutto quando questa ci coinvolge direttamente. E
siamo capaci di inventare tutte le scuse pur di non cambiare quello che, visto
allo specchio, ci aveva indignato. Copriamo con delle maschere le immagini
scomode, inseguiamo con le nuvolette pudibonde quei particolari che non si
devono vedere, con il risultato di stimolare la curiosità rendendola morbosa. È
il trionfo dell’ipocrisia di una società bacata.
Certamente non tutti gli specchi sono perfetti, capaci di riprodurre
fedelmente la realtà. Esistono anche gli specchi deformanti che alterano le
immagini e fanno vedere un mondo che non è quello che appare. Il più delle
volte offrono immagini spaventose, da casa degli orrori. A volte però riescono
anche a far apparire bello il mostro più disgustoso.
Morale della favola: non basta essere specchio per essere considerato
affidabile.
Nel mondo moderno lo specchio della vita reale dovrebbe essere
rappresentato dal giornalismo. Soprattutto le inchieste, i sondaggi di
opinione, le ricostruzioni di fatti basate su documenti autentici dovrebbero
fornirci un quadro fedele di quanto è accaduto. Naturalmente non si esclude una
valutazione dei fatti, a patto che sia nettamente distinta dagli eventi
presentati.
Ci sono pubblicazioni che hanno scelto questa dichiarazione, di per sé
ovvia, come propria bandiera. Non tutti però sono sempre fedeli a questo
principio e quindi si ripropone sempre la stessa domanda: lo specchio è fedele
nel presentare la realtà, o invece nasconde dietro qualche nuvoletta particolari
ritenuti sconvenienti o contrari a quanto si vuole dimostrare? O addirittura
deforma intenzionalmente le immagini che riflette per raggiungere gli effetti
desiderati?
In ogni caso lo specchio non è la realtà. Anche quando sembra
deformarla può influire unicamente sull’immagine che presenta. È puerile
attribuire allo specchio le cose che vediamo sulla sua superficie. Se si
ritiene che siano cose riprovevoli, sono queste che vanno processate insieme ai
loro autori. Lo specchio è innocente, a patto che quanto fa vedere sia davvero
corrispondente a ciò che è accaduto.
Eppure a volte succede anche questo, non solo nei confronti di
inchieste su avvenimenti di attualità ma anche nel modo di leggere e
interpretare testi composti nei secoli passati. Si finisce così, ad esempio,
per attribuire valore normativo alla semplice descrizione di comportamenti
ritenuti positivi o negativi dal lettore moderno. Il racconto di un fatto viene
identificato con il fatto stesso e presentato come modello da seguire o rifiutare
anche se l’autore che l’ha descritto voleva solo informarci che: “è capitato
così”.
Può anche accadere che l’autore voglia davvero trasmettere un comando
esplicito, ma anche in questo caso si tratta sempre di qualcosa che non può
essere attribuita di per sé allo strumento che lo comunica. Un esempio che può
sembrare banale: chi ha scritto materialmente la stele che presenta il famoso
“Codice di Hammurabi” non può essere ritenuto responsabile delle leggi che
comunica. Inoltre, rappresentando con un’immagine il re babilonese che riceve
le leggi dal suo dio si limita a descrivere la convinzione comune al suo tempo
sull’origine divina dell’autorità rivendicata dal re e riconosciuta dai
sudditi. Non afferma che effettivamente il dio abbia comunicato al legislatore
quei precetti, testimonia soltanto che era quella l’idea corrente in quella
cultura. Forse anche chi scriveva la pensava allo stesso modo, ma questo non
modifica la qualità della sua testimonianza.
Riflettendo su queste cose mi sono chiesto: “Perché quando si parla
della Bibbia ci troviamo sempre di fronte a due interpretazioni opposte, ma
simili nell’impostazione del metodo di giudizio? I credenti le attribuiscono
tutto il bene e il bello possibile, i non credenti la considerano l’origine di
ogni nefandezza”. Mi è sorto il dubbio che qualcosa non funzioni, non nella
Bibbia ma nel nostro modo di considerare questo insieme di testi antichi.
Leggendoli con atteggiamento disincantato, possibilmente senza
pregiudizi, che cosa sono? Penso che non sia difficile rispondere: raccontano
quello che un gruppo di persone era riuscito a ricostruire della propria storia
e della propria religione. Devono essere ritenuti autorevoli se presentano
fedelmente le credenze, i comportamenti, l’ambiente come era possibile conoscerli
allora. In altre parole mi devo chiedere se sono uno specchio fedele della
realtà che presentano e non se questa realtà rappresentata sia oggettivamente
vera. Sono due piani diversi e non possono essere identificati. Un credente
condividerà la fede testimoniata nella Bibbia, mentre chi non crede rifiuterà
di seguire le indicazioni contenute in quei libri.
E allora, perché si continua ad accusare la Bibbia di incitazione alla
violenza, se la sua caratteristica oggettiva è quella di descrivere fedelmente
i comportamenti umani in un momento preciso della storia? Senza tener conto che
negli stessi scritti sono presentati altri modi di vivere assolutamente
diversi. Perché dare peso soltanto a quello che piace oppure a quanto è
disgustoso? Eppure si continua a ripetere:
“La Bibbia è violenta e insegna la violenza” (???)
L’ho sentito affermare molto spesso. L’ultima volta in ordine di tempo,
ieri sera (2 dicembre 2015) durante la trasmissione “La gabbia”. È stato
affermato con sicurezza, come un dato acquisito, ovvio, mentre invece si
cercava di spiegare che non era così per il Corano. Nessuno ha fatto notare
l’asimmetria del trattamento riservato ai due testi che, almeno nella
presentazione, dovrebbero essere considerati sullo stesso piano. Ma è questo l’andazzo
generale di certa cultura laica.
Le conseguenze si riscontrano poi quando si sentono o si leggono i
commenti della gente comune. Basta cercare su internet e si vedrà che è
un’opinione largamente condivisa anche da persone che si professano religiose.
Che nella Bibbia ci siano descrizioni di violenze inaudite e che si dica che sono
state effettuate per ordine di Dio è un dato di fatto innegabile.
I tentativi di mascherare questa realtà con operazioni maldestre di
censura su testi che si continuava a definire sacri, sono patetici e ingenui,
addirittura controproducenti, anche se fatti in buona fede con l’intenzione di
“salvare la Bibbia” da accuse ingiuste. Bisogna riconoscere la verità anche se
scomoda e cercare di capirla e poi sforzarsi di spiegarla. Penso che leggere la
Bibbia come specchio che riflette la realtà del mondo antico offrendone
un’immagine fedele possa aiutare a capire il suo significato e ad apprezzarla.
Ma la domanda è: quale realtà è rispecchiata dalla Bibbia?
Il modo con cui è stata letta la Bibbia in passato è sempre stato
quello di chi è convinto di trovare in quelle pagine la verità assoluta isolata
dai condizionamenti culturali attraverso i quali era conosciuta e trasmessa
agli uomini di allora. Si trattasse di affermazioni riguardanti le scienze
della natura o avvenimenti storici o
conoscenze geografiche, la Bibbia, essendo ispirata da Dio, doveva presentare
le cose come erano in se stesse e non come erano percepite nelle diverse
culture. Oggi ci rendiamo conto che questo presupposto è sbagliato. Basti
pensare ai danni causati alla fede e alla stessa cultura laica dal cosiddetto
“caso Galilei”.
Se si fosse pensato che la Bibbia esponeva semplicemente quella che era
la convinzione comune di un certo periodo storico, e nel caso specifico di un
determinato popolo, gli Ebrei, non si sarebbe montato un processo
incredibilmente assurdo. L’equivoco è sorto dall’aver scambiato l’immagine
riflessa dallo specchio con la realtà in se stessa, ignorando il fatto che invece
presentava le cose come erano conosciute. Il passo verso l’accusa di falsità era
inevitabile.
Paradossalmente sarebbe stata falsa la Bibbia se avesse affermato la
“verità scientifica” come noi la conosciamo (cioè la terra gira attorno al sole)
perché avrebbe fornito l’immagine di una realtà (la convinzione generale
dell’epoca) inesistente.
Con questo non ho risposto a tutte le domande che, giustamente,
continuiamo a farci cercando di comprendere qualcosa di questo mondo così
complicato. Ho cercato solo di capire che cosa devo aspettarmi dalla Bibbia
ponendo domande giuste in modo corretto. Non ho usato il linguaggio tecnico
degli ambienti accademici, che storceranno il naso di fronte ad espressioni che
sembreranno banali per gli addetti ai lavori. Sarà loro compito, se lo vorranno,
tradurre in linguaggio forbito quanto mi sono sforzato di esprimere con parole
semplici, come dovrebbero fare sempre i giornalisti se vogliono essere davvero
lo specchio della verità.
Giovanni Boggio
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