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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

giovedì 19 maggio 2011

La solidarietà nella Bibbia

Gli ultimi attentati terroristici forse hanno fatto sorgere qualche domanda inquietante: perché tante vittime innocenti? Che c’entrano gli uccisi di Madrid con il governo spagnolo? Tanto meno, che c’entrano con gli Stati Uniti e con il loro presidente? E le vittime della guerra in Iraq erano tutte schierate dalla parte del dittatore imprigionato?

Il coinvolgimento di tante persone senza responsabilità nelle decisioni che si vogliono combattere con gli attentati o con le guerre, ha sempre creato problemi seri che riguardano la libertà umana, la responsabilità individuale e, in ultima analisi, la giustizia di Dio. Perché Dio permette che migliaia di innocenti soffrano per decisioni prese da altri? Perché molti muoiono senza alcun motivo che si possa addebitare a loro? Ha senso tutto ciò?

Il vangelo presenta la stessa domanda, anche se riferita a situazioni diverse, rivolta a Gesù per un massacro di Ebrei compiuto dai Romani: perché erano stati uccisi proprio quelli e non altri che forse erano gli ispiratori della sommossa? Gesù risponde con un’altra domanda, (metodo tipicamente ebraico di rispondere!) citando un fatto di cronaca: il crollo di una torre fatiscente che aveva causato diciotto morti (Lc 13,4).

Gesù esclude una responsabilità diretta delle vittime, ma riconosce il principio di solidarietà che percorre tutta la Bibbia. La vita stessa lo applica su larga scala in ogni sua manifestazione e la storia particolare del popolo ebraico ne era una dimostrazione continua.

L’esperienza delle carovane
La tradizione collegava l’origine del popolo di Dio all’esperienza nomade di Abramo e dei suoi discendenti, rinnovata durante gli anni trascorsi nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto. Il ricordo del deserto è sempre stato presente nella cultura ebraica e l’ha condizionata in modo notevole. Ebbene, l’esperienza della carovana esalta la solidarietà tra tutti i suoi componenti. La sorte dei singoli è legata alle scelte compiute dal capo carovana, dalla sua esperienza e conoscenza delle piste, dalle sue capacità di guida. Il destino dei singoli non dipende dalle capacità personali ma dall’appartenenza a “quel gruppo” piuttosto che ad un altro. Adulti, vecchi o bambini sono tutti coinvolti nella stessa avventura che può avere un lieto fine anche senza meriti personali o un esito drammatico senza una colpa attribuibile al singolo.

La stessa cosa capitava nella vita quotidiana all’interno delle tribù o delle stesse famiglie. In caso di guerra, anche quelli che per qualsiasi motivo erano rimasti negli accampamenti si dividevano il bottino tolto ai nemici da chi aveva combattuto, oppure venivano depredati e fatti prigionieri se i combattenti della propria tribù erano stati sconfitti. Non contava la partecipazione diretta né alla vittoria né alla sconfitta. L’elemento determinante era un altro: l’appartenenza al gruppo.

Anche la vita delle famiglie era retta dallo stesso principio. Il capo famiglia decideva con le sue scelte il destino di tutti i membri del suo gruppo. Una scelta intelligente o fortunata portava un vantaggio per tutti, una scelta sciagurata gettava tutti nella miseria.

Dalla vita fisica a quella religiosa
Il principio di solidarietà nel bene e nel male è passato inevitabilmente anche al rapporto tra il popolo e Dio. La sorte del singolo individuo si confondeva con quella del popolo di appartenenza. L’alleanza stipulata da Mosè sul monte Sinai e codificata nei Dieci Comandamenti coinvolgeva il popolo nel suo insieme. Certamente l’osservanza dei Comandamenti era un fatto individuale, ma veniva valutata globalmente. La fedeltà o meno agli impegni dell’alleanza aveva una valenza collettiva che prevaleva su quella individuale.

Ad un certo punto della storia di Israele questo principio incominciò a creare seri problemi a proposito della giustizia di Dio che non sembrava tenere presente la diversità di comportamento degli uomini, trattando giusti e malvagi nello stesso modo. Alcuni avevano inventato un modo di dire per esprimere la ribellione a quel principio: “I nostri padri hanno mangiato l’uva acerba e noi, che siamo i loro figli, abbiamo i denti allegati” (Ger 31,29), cioè i responsabili della situazione drammatica in cui ci troviamo sono altri, e noi, che siamo innocenti, ne portiamo le conseguenze.

Il profeta Ezechiele cerca di rispondere a questa difficoltà, tanto simile alle nostre, distinguendo tra una responsabilità di fronte a Dio e una “responsabilità” di fronte alla storia. Della prima ognuno risponderà direttamente a Dio senza che il suo giudizio venga condizionato dal comportamento degli altri. La seconda, invece, sembra dire che dipende dalla stessa condizione umana: è un dato di fatto in cui giocano troppi fattori umani di cui non si può attribuire la causa a Dio.

Per concludere, notiamo che questo principio è alla base delle affermazioni a proposito del nostro rapporto con il peccato del primo uomo: la scelta sbagliata del rappresentante dell’umanità ha condizionato pesantemente le condizioni di vita dei suoi discendenti. Ma ricordiamo che Paolo applica lo stesso principio alla solidarietà che, attraverso il battesimo, ci lega a Cristo per ottenere la salvezza. Siamo peccatori perché siamo discendenti da Adamo, siamo salvati perché formiamo un corpo solo con Cristo nel battesimo.

In questo modo abbiamo spiegato il rapporto con Dio. Quello con le realtà umane rimane ancora con la risposta data da Ezechiele e ripetuta da Gesù: le tragedie che colpiscono gli innocenti dipendono (almeno in gran parte) dalle scelte sbagliate degli uomini. Bisogna correggere queste e non pretendere che Dio intervenga continuamente a raddrizzare le nostre linee storte.

Giovanni Boggio (Biblista)




Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi (Esodo 20, 5-6)

Davide, vedendo l'angelo che colpiva il popolo, disse al Signore: «Io ho peccato; io ho agito da iniquo; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!» (2Samuele cap. 24,17).

Colui che ha peccato e non altri deve morire; il figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità (Ezechiele 18,20).

Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio (Giovanni 9,1-3)


3 commenti:

  1. alla fine mi sembra piu' comprensibile quello che dice Gesu': "le nostre sofferenze esistono, non perche' abbiamo peccato e Dio ci vuole punire, ma perche' si manifestino le Sue opere".
    Le Sue vie non sono le nostre vie...e le Sue opere a volte per noi sono difficili da capire ed accettare, ma abbiamo fiducia in Lui...e Lui ci ama: c'e' solidarieta' anche nell'amore, non solo nelle tragedie!
    paola

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  2. Ma non si puo' non partire da Geremia... Anche perché il mondo... non è a mio parere, nonostante tanto progresso... cambiato... "Ognuno parla di pace con il prossimo, mentre nell’intimo gli ordisce un tranello..." Nel mondo di oggi, mondo in cui ognuno può dire qll che gli pare... nel mondo delle continue contestazioni anche della stessa volontà di Dio... si può ogni tanto (a me capita spesso) litigare con Dio? poi... sempre con Geremia... il senso di "profeta di sventura"... con il suo "se non vi convertirete..."... pensa che la chiesa dovrebbe essere più incisiva nel "incarnare" la voce di Dio?"

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  3. Hai ragione. La solidarietà che ci lega tra di noi dovrebbe impedire ogni falsità, ogni inganno anche solo considerando che il male che facciamo agli altri ricade su di noi che lo facciamo. Geremia sa che Dio conosce tutto, anche i pensieri più nascosti di ogni uomo e sa distribuire con giustizia a ciascuno ciò che si è meritato con le proprie scelte. Anche sull'ultima osservazione sono d'accordo con te. Tutti noi, come Chiesa (in primis il Magistero!!!) dovremmo essere più coraggiosi nel denunciare i soprusi e le ingiustizie stando ben attenti ad evitarle noi per primi. Allora non saremmo "profeti di sventura" ma annunciatori di salvezza in un mondo che vivesse più in conformità al volere di Dio. Come vedi, ci rimane anocra molto da fare... Aspetto altre provocazioni.

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