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Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

lunedì 27 febbraio 2017

PREGATE PER I VOSTRI PERSECUTORI (Matteo 5,44)



È difficile… Ma dobbiamo imparare a farlo, perché si convertano”.

Lo ha riconosciuto papa Francesco domenica 19 febbraio commentando il brano del vangelo di Matteo letto durante la celebrazione della messa in una parrocchia della periferia di Roma. Penso che tutti i sacerdoti nell’omelia abbiano evidenziato la stessa difficoltà condivisa senza alcun dubbio da tutti i presenti e anche da chi è rimasto a casa. Ma credo che la condivisione si limiti alla difficoltà del perdono e non alla necessità di pregare per i nemici, cosa a cui non siamo abituati.


Ricordo la sorpresa dei presenti quando alcuni anni fa a seguito di un attentato ho invitato a pregare per gli attentatori spiegando che le vittime non avevano bisogno delle preghiere di suffragio essendo certamente accolte da Dio che, nella Bibbia sta sempre dalla parte dei più deboli. Invece erano gli assassini che dovevano cambiare modo di pensare e di vivere se volevano essere oggetto della misericordia. Purtroppo in questi ultimi anni ho dovuto ripetere troppe volte l’esortazione a pregare per i delinquenti che danno l’impressione di essere refrattari alle nostre preghiere.

Ma chi sono questi nemici?

Forse c’è qualcosa che non funziona nel nostro modo di pregare, forse non mettiamo l’indirizzo giusto, forse pensiamo solo agli esecutori materiali delle uccisioni dimenticando che spesso sono essi le prime vittime di una violenza che ha dei mandanti insospettabili. Non c’è bisogno di smascherare complotti, riunioni segrete o vertici di politici o banchieri miranti a destabilizzare gli ordinamenti sociali. Ci sono stati in passato e certamente esistono anche oggi, ma ormai vivono di rendita. Sono riusciti a creare una mentalità largamente diffusa che mette il denaro e il profitto al di sopra di ogni altro interesse. Dalla ricchezza si fa derivare il potere, la felicità, la realizzazione della propria personalità, il godimento sfrenato del sesso. Tutto questo viene identificato con la libertà che raggiunge la sua massima espressione nello “sballo”.


Una volta erano soltanto gli intellettualoidi che cercavano l’affermazione del proprio io secondo il proverbio “Meglio un giorno da leoni che cento da pecora”. Oggi sta diventando l’ideale di certi ambienti giovanili dove si dichiara apertamente e si pratica la violenza non solo sugli altri ma su sé stessi. Una vita serena e tranquilla è considerata insipida, si cercano le situazioni estreme in grado di scaricare tutta l’adrenalina che si ha in corpo per provare emozioni forti, almeno una volta nella vita. Anche se sarà l’unica e irripetibile perché, spiaccicati contro un muro o sull’asfalto di un cortile, si è scritta la parola “FINE”.

Qualcuno mi accuserà di cinismo, ma trovo insopportabili e ipocrite le lacrime e i pianti che accompagnano puntualmente i funerali di chi ha cercato lo “sballo”. Ha ottenuto ciò che voleva, perché piangere? Capisco il dolore di una mamma e di un padre che hanno perso un figlio, ma non potevano fare niente per evitare quella che non può essere chiamata “disgrazia”? Forse sono anch’essi vittime insieme ai loro figli, drogati prima nel cervello che nel sangue, di nemici che si presentano accattivanti promettendo la felicità in cambio dei nostri soldi, ma in realtà consegnandoci dei cadaveri irriconoscibili.

Si ripete la storia di Pinocchio abbindolato dai due soci truffaldini che continuano a ripetere a tutti i babbei che incontrano “Di noi ti puoi fidar”, magari anche in musica come nella canzonetta. Non tutti ci cascano, ma può venire a tutti il sospetto che potrebbero anche aver ragione e che la felicità si trovi davvero nel paese dei balocchi. Perché non farci una visita? Ad occhi aperti, s’intende, tanto siamo vaccinati.

Gentile e suadente, ma è sempre arroganza

Il libro della Sapienza ci aveva presentato il ritratto del potere arrogante e sfacciato, da chiunque venisse esercitato (Sapienza 6,1-11). Era facilmente riconoscibile e quindi era possibile opporvisi anche se c’era il pericolo di venire schiacciati o anche di sostituirlo con altrettanta arroganza. Ma il potere che ha conquistato il consenso popolare promettendo di costruire un paese di Bengodi dove tutti vivranno felici e contenti, presenta altre credenziali di non facile interpretazione. Sono un po’ come certi contratti che ci vengono proposti dove spiccano in bella evidenza i vantaggi mentre le clausole vessatorie sono scritte in caratteri microscopici.


Si tratta, a volte, di autentiche truffe, di circonvenzione di incapaci che, quando sono proposte da soggetti al di sopra di ogni sospetto non sono considerati dalla giustizia. Le cronache anche recenti ci hanno fornito purtroppo materiale abbondante di questo genere. Mi permetto una digressione sul tema. Ho cercato su internet la voce “circonvenzione” e nella sezione “Immagini” ho notato una presenza piuttosto consistente di preti e di vescovi, in buona compagnia di noti uomini politici e di personaggi dello spettacolo. Sarà un caso? O si tratta di un prodotto di qualche fabbrica di bufale? Oppure di una campagna denigratoria? Comunque, da qualsiasi parte la si giri salta sempre fuori l’arroganza del potere che, a quanto pare, ha sfiorato anche le aule dove troneggia la scritta “La legge…” con quel che segue.

È in questo miscuglio di poteri subdoli e arroganti che dominano la nostra vita che dobbiamo ricercare i “nemici per cui pregare”, come dice un bel canto di chiesa. Sono questi poteri occulti, siano essi organizzazioni multinazionali oppure il semplice impiegato che timbra il cartellino e poi va a giocare alle slot machine, che hanno inquinato la nostra vita e che in un modo o in un altro influiscono sul nostro modo di pensare e di agire.

Se adesso pensate che sto esagerando, attenzione! Siete già stati contagiati dal virus che minimizza la capacità dei poteri occulti di influire negativamente sui comportamenti soprattutto dei giovani, cioè dei più deboli. Altro soprassalto di stupore indignato perché vi hanno convinti (i poteri occulti!) che i giovani sono i più forti perché fanno molti goal, perché corrono veloci, perché hanno sempre il telefonino in mano, perché, perché… Non sono i più forti, ma i più fragili, e non certo per colpa loro ma per la mancanza di educazione ricevuta dagli adulti. Il comportamento del figlio di Salomone che ho ricordato nel post precedente, evidenzia i disastri che può provocare una cattiva educazione che permette all’inesperienza dei giovani di trasformarsi in arroganza presuntuosa, rafforzata dal sostegno interessato dei coetanei (1 Re 12,1-19).

I giovani sono solo i più esposti al pericolo di diventare dei robot telecomandati da chi li vuole sfruttare a proprio vantaggio. A chi approfitta della loro inesperienza e mette in giro certe idee diventando così la causa di comportamenti a volte delittuosi, Gesù direbbe, senza mezzi termini “Guai anche a voi!”.

E allora, come dobbiamo pregare?

Chiedo scusa a chi legge se mi rifaccio sempre alla lingua ebraica. Non la considero l’unica lingua capace di comunicare con Dio, però è la lingua dalla quale dipendono tutte le nostre conoscenze su Dio, secondo la fede degli ebrei e di noi cristiani. A volte certe parole diventate comuni si riempiono di significati impensati se pronunciate nella lingua originale. È il caso della preghiera e del verbo corrispondente.


Pregare, in ebraico è hitpallel e preghiera è tefillah. Il verbo ha come primo significato “giudicare” e nella forma (o coniugazione) dove assume il senso di pregare, indica un’azione riflessiva o reciproca. Per capirci meglio, pensiamo al verbo “lavarsi”: generalmente è usato come riflessivo ma può indicare anche uno scambio di servizi tra due o più persone. Quindi il verbo hitpallel avrebbe il significato di “giudicare il proprio comportamento” e anche quello di “giudicare il comportamento di un altro che, a sua volta fa lo stesso verso di noi”. Trattandosi di un giudizio, si presuppone un dialogo o con se stessi o con una terza persona che, nel contesto specifico, è nientemeno che Dio.

In pratica, la preghiera è sentita come un confronto tra la propria vita e la volontà di Dio espressa nei comandamenti, ma anche come una verifica della fedeltà di Dio alle sue promesse. Partendo da queste considerazioni non possiamo più identificare la preghiera con la recita di formule fisse anche se avallate da tradizioni secolari. La stessa invocazione conclusiva della preghiera che ci ha insegnato Gesù “ma liberaci dal male” esce dal generico per assumere le fattezze non tanto di persone singole quanto di comportamenti contrari all’insegnamento del vangelo che ci sono proposti con un bombardamento continuo di messaggi.

Il primo “giudizio” che la preghiera ci invita a pronunciare è su noi stessi, sulla nostra risposta alle sollecitazioni a considerare la ricchezza e il piacere egoistico l’unico scopo della vita. È questo il nemico per cui dobbiamo pregare perché modifichi i suoi messaggi che portano alla morte trasformandoli in inviti a vivere felici insieme agli altri e non escludendo qualcuno. E Dio ci risponderà facendoci capire che tocca a noi reagire, dissociandoci dalle lusinghe ingannevoli e dimostrando con i fatti che è possibile realizzare una società più giusta. Senza aspettare che ci venga recapitata dagli angeli in confezione regalo con tutti gli accessori e perfettamente funzionante.

A parte la buona fede di tanti cristiani che si sono fatti dei meriti, grazie alla misericordia di Dio, biascicando rosari o inventando “coroncine” fantasiose, penso che sia doveroso dare alla nostra preghiera un contenuto diverso che non ci lasci come eravamo ma che ci spinga a migliorare la vita nostra e della società di cui siamo parte.

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