“È difficile… Ma dobbiamo imparare a farlo, perché si convertano”.
Lo ha riconosciuto papa
Francesco domenica 19 febbraio commentando il brano del vangelo di Matteo letto
durante la celebrazione della messa in una parrocchia della periferia di Roma.
Penso che tutti i sacerdoti nell’omelia abbiano evidenziato la stessa
difficoltà condivisa senza alcun dubbio da tutti i presenti e anche da chi è
rimasto a casa. Ma credo che la condivisione si limiti alla difficoltà del
perdono e non alla necessità di pregare per i nemici, cosa a cui non siamo
abituati.
Ricordo la sorpresa dei
presenti quando alcuni anni fa a seguito di un attentato ho invitato a pregare
per gli attentatori spiegando che le vittime non avevano bisogno delle
preghiere di suffragio essendo certamente accolte da Dio che, nella Bibbia sta
sempre dalla parte dei più deboli. Invece erano gli assassini che dovevano
cambiare modo di pensare e di vivere se volevano essere oggetto della
misericordia. Purtroppo in questi ultimi anni ho dovuto ripetere troppe volte
l’esortazione a pregare per i delinquenti che danno l’impressione di essere refrattari
alle nostre preghiere.
Ma chi sono questi
nemici?
Forse c’è qualcosa che
non funziona nel nostro modo di pregare, forse non mettiamo l’indirizzo giusto,
forse pensiamo solo agli esecutori materiali delle uccisioni dimenticando che
spesso sono essi le prime vittime di una violenza che ha dei mandanti
insospettabili. Non c’è bisogno di smascherare complotti, riunioni segrete o
vertici di politici o banchieri miranti a destabilizzare gli ordinamenti
sociali. Ci sono stati in passato e certamente esistono anche oggi, ma ormai
vivono di rendita. Sono riusciti a creare una mentalità largamente diffusa che
mette il denaro e il profitto al di sopra di ogni altro interesse. Dalla
ricchezza si fa derivare il potere, la felicità, la realizzazione della propria
personalità, il godimento sfrenato del sesso. Tutto questo viene identificato
con la libertà che raggiunge la sua massima espressione nello “sballo”.
Una volta erano
soltanto gli intellettualoidi che cercavano l’affermazione del proprio io
secondo il proverbio “Meglio un giorno da leoni che cento da pecora”. Oggi sta
diventando l’ideale di certi ambienti giovanili dove si dichiara apertamente e
si pratica la violenza non solo sugli altri ma su sé stessi. Una vita serena e
tranquilla è considerata insipida, si cercano le situazioni estreme in grado di
scaricare tutta l’adrenalina che si ha in corpo per provare emozioni forti,
almeno una volta nella vita. Anche se sarà l’unica e irripetibile perché,
spiaccicati contro un muro o sull’asfalto di un cortile, si è scritta la parola
“FINE”.
Qualcuno mi accuserà di
cinismo, ma trovo insopportabili e ipocrite le lacrime e i pianti che
accompagnano puntualmente i funerali di chi ha cercato lo “sballo”. Ha ottenuto
ciò che voleva, perché piangere? Capisco il dolore di una mamma e di un padre
che hanno perso un figlio, ma non potevano fare niente per evitare quella che
non può essere chiamata “disgrazia”? Forse sono anch’essi vittime insieme ai
loro figli, drogati prima nel cervello che nel sangue, di nemici che si
presentano accattivanti promettendo la felicità in cambio dei nostri soldi, ma
in realtà consegnandoci dei cadaveri irriconoscibili.
Si ripete la storia di
Pinocchio abbindolato dai due soci truffaldini che continuano a ripetere a tutti
i babbei che incontrano “Di noi ti puoi fidar”, magari anche in musica come
nella canzonetta. Non tutti ci cascano, ma può venire a tutti il sospetto che
potrebbero anche aver ragione e che la felicità si trovi davvero nel paese dei
balocchi. Perché non farci una visita? Ad occhi aperti, s’intende, tanto siamo
vaccinati.
Gentile e suadente, ma
è sempre arroganza
Il libro della Sapienza
ci aveva presentato il ritratto del potere arrogante e sfacciato, da chiunque
venisse esercitato (Sapienza 6,1-11).
Era facilmente riconoscibile e quindi era possibile opporvisi anche se c’era il
pericolo di venire schiacciati o anche di sostituirlo con altrettanta
arroganza. Ma il potere che ha conquistato il consenso popolare promettendo di
costruire un paese di Bengodi dove tutti vivranno felici e contenti, presenta
altre credenziali di non facile interpretazione. Sono un po’ come certi
contratti che ci vengono proposti dove spiccano in bella evidenza i vantaggi
mentre le clausole vessatorie sono scritte in caratteri microscopici.
Si tratta, a volte, di
autentiche truffe, di circonvenzione di incapaci che, quando sono proposte da
soggetti al di sopra di ogni sospetto non sono considerati dalla giustizia. Le
cronache anche recenti ci hanno fornito purtroppo materiale abbondante di
questo genere. Mi permetto una digressione sul tema. Ho cercato su internet la
voce “circonvenzione” e nella sezione “Immagini” ho notato una presenza
piuttosto consistente di preti e di vescovi, in buona compagnia di noti uomini
politici e di personaggi dello spettacolo. Sarà un caso? O si tratta di un
prodotto di qualche fabbrica di bufale? Oppure di una campagna denigratoria?
Comunque, da qualsiasi parte la si giri salta sempre fuori l’arroganza del
potere che, a quanto pare, ha sfiorato anche le aule dove troneggia la scritta
“La legge…” con quel che segue.
È in questo miscuglio
di poteri subdoli e arroganti che dominano la nostra vita che dobbiamo
ricercare i “nemici per cui pregare”, come dice un bel canto di chiesa. Sono
questi poteri occulti, siano essi organizzazioni multinazionali oppure il
semplice impiegato che timbra il cartellino e poi va a giocare alle slot
machine, che hanno inquinato la nostra vita e che in un modo o in un altro
influiscono sul nostro modo di pensare e di agire.
Se adesso pensate che
sto esagerando, attenzione! Siete già stati contagiati dal virus che minimizza
la capacità dei poteri occulti di influire negativamente sui comportamenti
soprattutto dei giovani, cioè dei più deboli. Altro soprassalto di stupore indignato
perché vi hanno convinti (i poteri occulti!) che i giovani sono i più forti
perché fanno molti goal, perché corrono veloci, perché hanno sempre il
telefonino in mano, perché, perché… Non sono i più forti, ma i più fragili, e
non certo per colpa loro ma per la mancanza di educazione ricevuta dagli
adulti. Il comportamento del figlio di Salomone che ho ricordato nel post
precedente, evidenzia i disastri che può provocare una cattiva educazione che
permette all’inesperienza dei giovani di trasformarsi in arroganza presuntuosa,
rafforzata dal sostegno interessato dei coetanei (1 Re 12,1-19).
I giovani sono solo i
più esposti al pericolo di diventare dei robot telecomandati da chi li vuole
sfruttare a proprio vantaggio. A chi approfitta della loro inesperienza e mette
in giro certe idee diventando così la causa di comportamenti a volte
delittuosi, Gesù direbbe, senza mezzi termini “Guai anche a voi!”.
E allora, come dobbiamo
pregare?
Chiedo scusa a chi
legge se mi rifaccio sempre alla lingua ebraica. Non la considero l’unica
lingua capace di comunicare con Dio, però è la lingua dalla quale dipendono
tutte le nostre conoscenze su Dio, secondo la fede degli ebrei e di noi
cristiani. A volte certe parole diventate comuni si riempiono di significati
impensati se pronunciate nella lingua originale. È il caso della preghiera e
del verbo corrispondente.
Pregare, in ebraico è hitpallel e preghiera è tefillah. Il verbo ha come primo
significato “giudicare” e nella forma (o coniugazione) dove assume il senso di
pregare, indica un’azione riflessiva o reciproca. Per capirci meglio, pensiamo
al verbo “lavarsi”: generalmente è usato come riflessivo ma può indicare anche
uno scambio di servizi tra due o più persone. Quindi il verbo hitpallel avrebbe il significato di
“giudicare il proprio comportamento” e anche quello di “giudicare il
comportamento di un altro che, a sua volta fa lo stesso verso di noi”.
Trattandosi di un giudizio, si presuppone un dialogo o con se stessi o con una
terza persona che, nel contesto specifico, è nientemeno che Dio.
In pratica, la
preghiera è sentita come un confronto tra la propria vita e la volontà di Dio
espressa nei comandamenti, ma anche come una verifica della fedeltà di Dio alle
sue promesse. Partendo da queste considerazioni non possiamo più identificare la
preghiera con la recita di formule fisse anche se avallate da tradizioni
secolari. La stessa invocazione conclusiva della preghiera che ci ha insegnato
Gesù “ma liberaci dal male” esce dal
generico per assumere le fattezze non tanto di persone singole quanto di
comportamenti contrari all’insegnamento del vangelo che ci sono proposti con un
bombardamento continuo di messaggi.
Il primo “giudizio” che
la preghiera ci invita a pronunciare è su noi stessi, sulla nostra risposta
alle sollecitazioni a considerare la ricchezza e il piacere egoistico l’unico
scopo della vita. È questo il nemico per cui dobbiamo pregare perché modifichi
i suoi messaggi che portano alla morte trasformandoli in inviti a vivere felici
insieme agli altri e non escludendo qualcuno. E Dio ci risponderà facendoci
capire che tocca a noi reagire, dissociandoci dalle lusinghe ingannevoli e
dimostrando con i fatti che è possibile realizzare una società più giusta. Senza
aspettare che ci venga recapitata dagli angeli in confezione regalo con tutti
gli accessori e perfettamente funzionante.
A parte la buona fede
di tanti cristiani che si sono fatti dei meriti, grazie alla misericordia di
Dio, biascicando rosari o inventando “coroncine” fantasiose, penso che sia doveroso
dare alla nostra preghiera un contenuto diverso che non ci lasci come eravamo
ma che ci spinga a migliorare la vita nostra e della società di cui siamo
parte.
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