Anche senza fare una
ricerca accurata, vengono in mente diversi momenti in cui Gesù dimostra di
avere una certa familiarità con l’ambiente in cui si preparano i cibi e non
soltanto con quelli in cui si consumano. I vangeli presentano Gesù come
invitato a banchetti in varie occasioni. In un caso – le nozze a Cana – la sua
partecipazione è attiva e determinante. Nei racconti della moltiplicazione dei
pani e dei pesci è il personaggio centrale. La sua familiarità con il cibo si
manifesta anche dopo la risurrezione quando chiede che gli venga offerto un
boccone o quando accetta l’invito dei due discepoli a Emmaus. Addirittura il
vangelo di Giovanni ce lo presenta come cuoco che accende il fuoco per una
grigliata di pesci che offre agli apostoli sulle rive del lago di Genezaret.
Non ha paura di ripetere l’accusa che gli facevano di essere un mangione e un
beone. Soprattutto lega la sua presenza in mezzo ai discepoli ad una cena nella
quale lui stesso è cibo e bevanda.
La sua esperienza tra i
fornelli gli permette non di scrivere un ricettario di piatti prelibati, ma di
ricavare degli insegnamenti preziosi riguardanti il comportamento da tenere
verso il prossimo e verso Dio, secondo il metodo dei grandi maestri di
sapienza. Così la cuoca che impasta la farina e aspetta paziente che sia
lievitata diventa l’icona di chi lavora alla costruzione del regno di Dio (Matteo 13,33-35). La donna che mette a
soqquadro la casa per cercare la moneta smarrita e festeggia il ritrovamento
con le vicine è presentata come un modello da seguire nella ricerca di chi si è
allontanato da Dio (Luca 15,8-10). La
cucina è anche l’ambiente più probabile in cui si accende la lampada e
soprattutto si controlla se il sale può ancora essere usato per insaporire i cibi
(Matteo 5,13-16). E proprio da questo
Gesù trae lo spunto per delineare il ritratto dei suoi discepoli che devono
essere luce e sale.
Nel mondo antico non ci
si preoccupava che il sale facesse salire la pressione del sangue e si teneva
conto solo del sapore che dava ai cibi e delle altre qualità positive che lo
rendevano un elemento fondamentale e indispensabile per la vita. Lo sapeva bene
l’autore del libro di Giobbe che considera la mancanza di sale sul cibo una
delle sofferenze più insopportabili toccate al protagonista della vicenda
narrata. “Si mangia forse un cibo
insipido, senza sale? Che gusto c’è nel liquido del latte cagliato? Quello che
mi dava il voltastomaco è diventato il mio pane” (Giobbe 6,6-7). L’identificazione degli alimenti ripugnanti non è
facile, ma la mancanza di sale è espressa chiaramente e trova il consenso di
tutti i traduttori.
È alla luce di queste
caratteristiche del sale che si capisce a fondo l’insegnamento che ne ricava
Gesù. Come il sale rende gradevoli i cibi così i discepoli devono comunicare
agli uomini il gusto della vita vissuta secondo il volere di Dio. Ma non
possono trasmettere nulla agli altri se non lo hanno in sé, perché fa parte
della loro natura. I discepoli devono vivere con gioia per poter essere
testimoni credibili. Se vivono un’esistenza scialba, insipida, senza ideali ed
entusiasmi non possono comunicare nulla, diventano ingombranti e meritano di
finire tra i rifiuti.
Se c’è un black out e
rinunciamo al sale…
Tra le caratteristiche
dei discepoli Gesù mette per prima la luce. È una parola che ricorre centinaia
di volte in tutta la Bibbia e spesso viene usata in senso figurato per indicare
la realtà in opposizione alle tenebre che impediscono di vedere le cose come
sono. L’evangelista Giovanni nel prologo del suo vangelo identifica il Verbo di
Dio con la luce (Giovanni 1,4-9) e
poi con Gesù e con il suo insegnamento: “Di nuovo Gesù parlò loro: «Io sono la luce
del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della
vita»” (8,12). I discepoli non possono emettere
una luce propria ma solo quella che hanno ricevuto dal loro Maestro (Matteo 5,13).
Il legame tra luce e sale rende i due
termini inseparabili e interdipendenti. Ci sono molte proposte offerte all’uomo
per la valorizzazione e il godimento della vita, ma solo quella testimoniata
dai discepoli è quella autentica che può realizzare le attese più profonde. A
patto che abbia come contenuto la verità realizzata in Gesù.
Il carpentiere di
Nazareth ha dimostrato di conoscere bene anche quanto avviene in cucina e di
apprezzare e gustare i cibi saporiti. Ma il suo insegnamento non riguarda la
gastronomia bensì la vita intera sulla quale proietta la luce che permette di
vedere le cose nelle loro forme effettive. E non vuole essere da solo in questa
impresa, cerca dei testimonial convinti
della bontà del suo progetto e capaci di presentarlo in modo convincente ai
loro contemporanei.
L’invito è allettante e
provocatorio allo stesso tempo. Da una parte offre la possibilità di entrare in
un’impresa grandiosa a dimensione mondiale e dall’altra pone la domanda sulla
scarsa incisività della proposta nel mondo moderno. Siamo sinceri: al di là di
certi criteri di valutazione basati su statistiche puramente numeriche (leggi:
numero dei battezzati, anche questo comunque in calo), si deve costatare un
distacco crescente dei comportamenti personali dai valori contenuti nel vangelo
a cui sono preferite altre proposte di vita. Le letture trionfalistiche del
passato hanno fatto il loro tempo anche se affiorano ancora in qualche
occasione.
La luce che Cristo ha
acceso non può manifestarsi solo con qualche flash abbagliante ma deve
illuminare la vita quotidiana mettendo in evidenza gli aspetti che la rendono
appetibile e gustosa e rendendo visibili gli ostacoli che ne impediscono la
realizzazione. Sono convinto che molti cristiani vivono la loro esperienza
guidati da queste convinzioni. Senza stabilire confronti impossibili, forse
sono anche in numero maggiore che nel passato, ma ho l’impressione che oggi ci
manchi la capacità e forse anche la voglia, di incidere sulla società.
Non mancano certo, gli
interventi ufficiali delle guide autorizzate. Ma non sono i documenti né
tantomeno le leggi imposte a cambiare la vita. Se manca la convinzione
profonda, se non si prova il gusto e il sapore di un’esperienza vissuta in modo
positivo non servono a nulla le “gride” di manzoniana memoria. Non si è mai
scritto tanto sulla gioia derivante dal vangelo. In pratica poi spesso si è
concretizzata in scopiazzature mal riuscite di balli da discoteca o da riunioni
dove si sprecano i larghi sorrisi e i convenevoli da salotto chic.
Ringraziando Dio, forse
è finita l’era infausta dei flagellanti e dei penitenti cosparsi di cenere per
commuovere una divinità più simile a Moloch che al Padre presentato da Gesù.
Forse però non siamo ancora riusciti a trovare il modo corretto di essere “la
luce del mondo e il sale della terra” perché diamo ancora troppa importanza al
tarlo che continua a suggerire al nostro cervello che non è possibile o che è
troppo difficile essere luce e che il sale danneggia la salute.
Ma se l’ha detto il
carpentiere di Nazareth che sapeva il fatto suo anche in cucina, vale la pena
di provarci. Non avrà ragione Lui?
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