QUANDO LA LOGICA VA IN FERIE
23/08/2016 18:41Egregio Direttore, sono rimasto allibito leggendo nell'editoriale di Davide Rondoni pubblicato venerdì 19 agosto la seguente affermazione: "Infatti, per chiunque creda - cristiano o islamico o ebreo - Dio è uno, grande, onnipotente, misericordioso. Le differenze, semmai sono a riguardo dell'io". Sarà perché dopo 40 anni di insegnamento dell'Antico Testamento sono abituato a motivare ogni affermazione, soprattutto se impegnativa, spiegando il significato preciso dei termini usati, ma la frase buttata lì come la cosa più ovvia, mi ha letteralmente sconcertato.
L'autore dell'editoriale è così sicuro che i lettori sappiano distinguere tra chi è Dio nella sua natura dalle immagini che le diverse religioni hanno costruito per presentarlo ai loro seguaci? Forse nemmeno l'autore saprebbe spiegare questo piccolo particolare, perché dimostra concretamente di non percepire nemmeno l'esistenza del problema. Del Credo che noi recitiamo l'unico elemento comune alle tre religioni citate è la frase di inizio: Credo in Dio onnipotente, creatore del cielo e della terra. E qui ci fermiamo, dopo la prima riga, che pure qualche differenza la propone, ma sono sottigliezze. Su quello che segue, cioè credo in Cristo figlio di Dio ecc. ecc. credo nello Spirito Santo, credo nella Chiesa ecc. ecc. posso tirare una croce e ignorarlo tranquillamente. Solo a queste condizioni posso affermare che abbiamo una fede comune. Io personalmente non la condivido, anche se oggi va di moda, come lo dimostra l'articolo di un giornale che si presenta come l'espressione del cattolicesimo. So benissimo che da un articolo di giornale non si può pretendere un trattato di esegesi o di teologia, ma penso che si debba pretendere il rispetto della verità e dei lettori. (…)
… se questo è l’Avvenire della
Chiesa…
Ho trascritto l’inizio del commento che
avevo inviato al direttore del quotidiano della CEI per manifestare le mie
perplessità sull’affermazione che oggi va tanto di moda negli ambienti di
avanguardia che cercano dei punti di contatto tra le diverse fedi religiose.
L’intento è lodevole ed è auspicabile che si riesca a trovarne qualcuno per
mettere fine a secoli di contrapposizioni sfociate a volte in massacri assurdi di
cui tutti devono sentirsi responsabili. Ma è doveroso chiedersi se la strada
che si vuole percorrere insieme per raggiungere l’auspicata unità delle fedi
sia quella giusta.
Ammiro la costanza e il coraggio di singoli
e organizzazioni cattoliche che continuano a proporre incontri ecumenici e
interreligiosi ad ogni livello. Sono stato anch’io, negli anni passati, parte
attiva in questo movimento e l’esperienza fatta sul campo mi ha convinto che i
risultati sperati rimangono ancora un sogno. È già un passo avanti il fatto di
trovarsi tutti attorno ad un tavolo a parlare su argomenti di comune interesse
senza insultarsi o anche solo senza ignorarsi a vicenda. Ma non illudiamoci,
quando si arriva al dunque, cioè al modo in cui ognuno esprime la propria fede,
la conversazione (il vero dialogo non è mai esistito) si blocca, qualcuno si
alza, saluta educatamente magari con un sorriso, e poi se ne va.
Oggi qualcuno pensa di aver scoperto
l’uovo di Colombo, di aver trovato l’algoritmo capace di risolvere l’eterno
problema. Partendo dalla convinzione che Dio è uno solo in se stesso sono state
individuate tre religioni che si riconoscono in questa affermazione mettendola
alla base della loro stessa esistenza. In ordine di tempo – ebraismo, cristianesimo, islamismo – sono le
tre religioni monoteiste. Se tutte e tre riconoscono l’unico Dio, allora le
differenze consistono solo nel modo di rappresentarlo e non possono riguardare
la realtà di Dio in se stesso. Dunque, trattandosi solo di una questione di
nomi, praticamente tutti diciamo la stessa cosa anche se la indichiamo con
etichette diverse. E allora, perché scannarci per imporre agli altri la
rappresentazione di Dio che ci siamo costruiti “a nostra immagine e
somiglianza?”.
La proposta è accattivante e suggestiva
oltre a presentarsi come assolutamente razionale. C’è però un piccolo
particolare: ognuno dei rappresentanti delle tre religioni monoteistiche è
convinto che l’immagine di Dio descritta nella propria fede corrisponde esattamente
alla realtà. Le altre due sono inaccettabili. È questo l’approdo a cui si è
ancorato per ora l’incontro interreligioso. Meglio di niente – si dirà – se
almeno servisse ad aprire gli occhi sulla realtà difficile che non si risolve
applicandole sopra una formuletta semplificatrice.
Per il passaporto ci vogliono foto uguali
Ecco perché ho reagito leggendo quel
“semmai” che minimizzava il problema riducendolo ad una semplice questione
terminologica del tutto soggettiva. Non si può far finta che le tre
rappresentazioni di Dio siano fondamentalmente uguali tra di loro solo perché
si riferiscono allo stesso personaggio. Le differenze sono sostanziali e –
stando alla comprensione attuale delle rispettive teologie – sono irriducibili.
Basti pensare al Dio in tre persone, che caratterizza la fede cristiana,
rifiutato dall’ebraismo e negato decisamente dall’islam. Poco importa se la
descrizione che ne dà il Corano non ha niente in comune con quanto afferma la
teologia cristiana, dato che le affermazioni coraniche vanno comprese alla
lettera che in questo caso è chiarissima.
Su questo punto fondamentale si potrebbe
cercare un confronto con l’ebraismo, mettendo da parte i rispettivi pregiudizi.
È quanto sta avvenendo, anche se ancora timidamente, in ambienti di avanguardia
avanzata, ma la strada per arrivare ad una comprensione comune dei testi
biblici è ancora lunga.
Diverso è il confronto tra il Dio
dell’islam e quello dell’ebraismo. A prima vista si può avere l’impressione che
le due presentazioni coincidano. In realtà questa coincidenza è all’origine
della spaccatura drammatica tra i due popoli, fatta risalire, dalla
ricostruzione che ne fa il Corano, alla lotta tra i due figli di Abramo,
considerati nella tradizione biblica i capostipiti del popolo ebraico (Isacco)
e di quello arabo (Ismaele). Chi conosce le interpretazioni date alle vicende
dei fratelli maggiori privati dei loro diritti di primogenitura a vantaggio dei
fratelli minori può intuire con quale stato d’animo un ebreo e un islamico si
possono rivolgere allo stesso Dio. Accenno solo alle reazioni negative di certi
ambienti ebraici alla definizione di “fratelli maggiori” data da papa Wojtila.
Quante volte ho dovuto spiegare a gruppi di cattolici, che ripetevano come
segno di rispetto la stessa frase, il sottofondo emotivo che faceva sentire ad
un ebreo quelle parole come una grave offesa.
Almeno Abramo può essere il padre di
tutti?
Un altro luogo comune ripetuto con
compiacimento in certi ambienti alla ricerca del dialogo ad ogni costo, è la
definizione “le tre religioni abramitiche”. Anche in questo caso non è tutto
così semplice come si vorrebbe far credere. Stando al racconto biblico, ebrei e
arabi sono discendenti dei due figli di Abramo avuti da due donne diverse, Sara
la moglie legittima madre di Isacco capostipite degli ebrei e Agar la schiava
egiziana madre di Ismaele considerato il capostipite delle popolazioni arabe.
Nelle vene dei due popoli scorrerebbe dunque lo stesso sangue di Abramo, anche
se contaminato fin dall’origine.
Il legame con Abramo, rivendicato da Paolo
per i cristiani, è di tutt’altra natura, fondato unicamente sulla fede del
grande patriarca. I cristiani sono considerati suoi figli solo se condividono
la certezza di Abramo che Dio avrebbe mantenuto le sue promesse. Si tratta di
un legame che viene addirittura contrapposto a quello determinato dal sangue.
“Religioni abramitiche”? La spiegazione
che ho cercato di abbozzare è largamente lacunosa e certamente non risulta
chiara a chi non conosce il testo biblico con tutte le risonanze emotive che
suscita in un ebreo o in un arabo. Non nego la validità della definizione di
religioni abramitiche, purché venga accompagnata o meglio, preceduta da
un’ambientazione culturale e religiosa adeguata. Con queste premesse è per lo
meno rischioso mettere in circolazione come dati largamente acquisiti e
condivisi, delle affermazioni molto complesse che hanno come risultato di
aumentare la confusione già largamente diffusa non solo tra quelli che una
volta erano definiti brutalmente “rudes”.
Ecco perché mi sono sentito in dovere di chiedere
al direttore di Avvenire una chiarificazione su quella frase esplosiva
buttata lì con indifferenza tra i piedi della gente. Gente che legge il
quotidiano cattolico in numero crescente in controtendenza agli altri
quotidiani italiani. È motivo di gioia per chi crede nel valore della stampa,
ma è anche occasione per riflettere sulla responsabilità di fronte ai lettori e
soprattutto verso la verità.
Una lettera cestinata
Mi aspettavo un cenno di comprensione verso
il problema che avevo evidenziato, anche se avevo superato i fatidici “1500
caratteri spazi inclusi”, vista l’importanza dell’argomento. Ma quando spedivo
il messaggio erano esattamente le 18:41 del 23/08/2016 e non potevo pensare che
poche ore dopo un terribile terremoto avrebbe sconvolto la vita di tante
persone e monopolizzato le informazioni e i commenti di tutti i mezzi di
comunicazione.
Non potevo far altro che rispettare
anch’io la priorità delle notizie, ma senza lasciare sepolto sotto le macerie
il problema che mi stava a cuore. E sono contento anche perché il tragico
evento ha fornito al direttore di Avvenire un alibi validissimo che mi
impedisce di metterlo sul banco degli imputati. Spero che, ritornata una certa
normalità nelle informazioni si possa dedicare un po’ di attenzione a temi di
teologia pratica. Non auspico la censura su affermazioni che non condivido, ci
mancherebbe altro! Chiedo solo che ad un punto di vista se ne affianchino anche
altri perché i lettori possano rendersi conto per lo meno della complessità di
certi problemi.
Con questo, caro Direttore, non le chiedo
di pubblicare le mie considerazioni. Riconosco di essere un biblista ruspante
che non ambisce i titoloni né usa il linguaggio forbito degli ambienti
accademici. Ci sono sul mercato molti colleghi che condividono le mie idee e
sono anche capaci di esporle in modo “teologicamente corretto”. Sono sicuro che
anche lei ne conosce qualcuno e non farà fatica ad ottenere la loro
collaborazione. Quello che conta, sono le idee non tanto chi le espone, anche
se un nome famoso può facilitare la loro diffusione.
Caro Don Giovanni Boggio: ..per capire meglio le faccio questa domanda "provocatoria" che si accoda alla conclusione del Suo intervento: ...Dio è unico, con buona pace della logica !...
RispondiEliminaIo mi chiedo e le chiedo: perche' la logica può essere messa in causa (trasposizione) anche sul piano trascendente e Divino, ..dove probabilmente la Omniscenza di Dio non dovrebbe avvalersi delle limitate categorie concettuali umane e terrene (pur potendolo fare..), essendo queste ultime solo astratti strumenti mentali del puro e impuro ragionamento umano elementare. Non è forse l'attributo Amore il linguaggio Spirituale per eccellenza, della nostra identita' più profonda che ci accosta, ci accomuna, ci rende più partecipe dell'identità omnipervadente di Dio, ovvero la Sua presenza ovunque ..nel TUTTO !!!, ..incluso ogni essere senziente ..indipendentemente dalla religione professata e dai cattivi maestri, unici responsabili della divisione tra gli esseri umani anche sul piano religioso, e per puro interesse di potere e controllo delle anime " Dīvĭdĕ et īmpĕrā (dividere per poter dominare, imperare), come la storia dell'ambizione umana insegna in ogni angolo della terra. Non è pur vero che le vie del Signore/Dio sono infinite per tutti gli esseri viventi/senzienti del pianeta terra ????.
Grazie !!!
Grazie per la domanda "provocatoria" che mi permette di chiarire un concetto che in realtà avevo lasciato un po' in sospeso. La logica a cui mi riferivo non riguardava Dio nella sua realtà oggettiva ma il rapporto che stabiliamo con Lui attraverso il nostro ragionamento che ci porta a trarre delle conclusioni che superano le premesse. E' il caso che mi ha spinto ad intervenire. Infatti, se ho ben capito, dalla convinzione comune che esiste un unico Dio si deduce che i modi con cui ce lo rappresentiamo sono ininfluenti nel condizionare i nostri rapporti con Lui. Quindi essere ebrei, cristiani o musulmani non ha importanza, perché Dio è unico. E' questa deduzione che mi sembra manchi di logica, anche perché è fondata su di un pregiudizio comune, cioè la pretesa di ogni religione di presentarci un'immagine di Dio corrispondente perfettamente alla sua realtà. Fino a che non si riconosce che non è in discussione Dio ma le nostre immagini che abbiamo confezionato dietro spinte culturali differenti, non riusciremo mai a trovare un punto comune di discussione. E' qui che si è bloccato ogni tentativo di dialogo, è qui che dovremmo lasciarci guidare da una logica razionale. Non so se sono riuscito a chiarire il mio pensiero: siamo diversi anche se Dio è unico in se stesso e immutabile. Ancora grazie per il contributo ad una discussione che certo non può concludersi con soluzioni "ecumenicamente concilianti".
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