MenuPagine

Benvenuti alla Scala dei Santi

EOLP - EuropeanOpenLearning Publisher
Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

domenica 30 ottobre 2016

CHE COSA SI VEDE “STANDO IN PIEDI”?


IL FARISEO PREGAVA BA ‘AMIDAH

Per tanti anni ho visto anch’io quello che vedevano tutti leggendo e commentando la
parabola di Gesù riportata dal vangelo di Luca 18,9-14. I due protagonisti del racconto sono un fariseo e un pubblicano descritti in un momento di preghiera. I commentatori hanno sempre evidenziato gli atteggiamenti dei due e il contenuto delle loro preghiere da un punto di vista moralistico con l’intento di trarne un insegnamento per la vita dei cristiani. In questa prospettiva lo “stare in piedi” del fariseo era interpretato come espressione del superbo che non vuole piegarsi di fronte a Dio. A lui si opponeva il pubblicano, descritto con gli occhi bassi e ripiegato su se stesso in segno di sottomissione a Dio. A volte si andava oltre a
quanto scritto nel vangelo, presentando il fariseo come espressione di una classe sociale di ricchi a cui si contrapponeva il pubblicano. Non si aveva il coraggio di definirlo povero ma i pittori lo lasciavano intuire rivestendolo di abiti modesti di fronte a quelli sfarzosi indossati dal fariseo. Il fatto che il pubblicano si fosse “fermato a distanza” era interpretato come segno di rispetto per la presenza di Dio nell’arca dell’alleanza collocata, si spiegava, al centro del tempio!

La chiave di lettura: la lingua ebraica
Non so quante volte ho letto questa parabola interpretandola come tutti senza pormi particolari problemi: sembrava tutto così ovvio! Però la settimana scorsa mentre preparavo l’omelia per la domenica successiva mi è capitato di tradurre mentalmente in ebraico il verbo greco stathéis “stando in piedi” con: ba ‘amidah. Non so perché l’ho fatto, forse avevo letto qualcosa in precedenza dove ricorreva la stessa espressione. Resta il fatto che quella parola ‘amidah  mi si è associata mentalmente al titolo dato dai rabbini a quella che viene definita “la preghiera” per antonomasia, cioè la recita delle “diciotto benedizioni” shemoneh ‘esreh. Aprire il siddur, il libro di preghiere degli ebrei, per rileggere il testo della ‘amidah con le rubriche e le spiegazioni sulle modalità con cui devono essere recitate le benedizioni è stato un gesto automatico dettato più che altro dalla curiosità.
Ma intanto avevo capito perché il fariseo stava in piedi, perché pregava a voce bassa, come se parlasse con se stesso o, per dirlo in ebraico, be libbò nel suo cuore. Mi era chiaro, finalmente, perché il pubblicano si era fermato a distanza dal fariseo (e non dall’arca dell’alleanza, scomparsa ormai già da alcuni secoli!). Lo aveva letto nel siddur che prescriveva il rispetto verso chi stava pregando in silenzio per non disturbarlo nella sua concentrazione costringendolo così a ripetere la preghiera da capo. Il particolare del fariseo che nota la presenza di un’altra persona che individua come pubblicano e che giudica con disprezzo, assume una valenza doppiamente negativa. Nonostante la preoccupazione del pubblicano di non disturbare, il fariseo si distrae e si perde dietro considerazioni nate dai suoi preconcetti.

E venendo alle parole pronunciate dai due personaggi, quelle del pubblicano sintetizzano due benedizioni, la quinta (teshuvah – ritorno [a Dio]) « Facci tornare, o Padre nostro, alla Tua Legge e fa’ che restiamo attaccati ai Tuoi precetti. Facci avvicinare, o nostro Re, al Tuo culto, e facci tornare con pentimento perfetto alla Tua presenza » e la sesta (selichah – perdono) « Perdonaci, Padre nostro, perché abbiamo peccato; assolvici, o nostro Re, perché ci siamo ribellati. Tu infatti sei un Dio buono e che perdona ».
Al contrario, le molte parole dette dal fariseo non hanno nessun riscontro nei testi delle diciotto benedizioni, se non nell’ultima indicata come hoda’ah, ringraziamento, per le opere compiute da Dio, mentre il fariseo ringrazia per quanto lui stesso ha fatto e per quello che è o che crede di essere.
Il siddur alla prescrizione della posizione eretta, aggiunge un particolare che a prima vista può sembrare curioso: i piedi devono stare uniti. Penso che la vera motivazione sia quella di favorire la concentrazione di chi prega. Riducendo la superficie di appoggio a terra si creano problemi di equilibrio il che richiede una continua presenza a se stessi. L’equilibrio del corpo dovrebbe favorire quello della mente così da avere una visione della realtà più oggettiva, non condizionata da posizioni di comodo.
La preghiera balebab, nel cuore, tra sé, era un’eccezione alla prassi comune di una preghiera “gridata”. La giustificazione del comportamento anomalo è indicata nella preghiera silenziosa di Anna, la madre di Samuele rimproverata in modo brutale dal vecchio sacerdote Eli.
Il fariseo rispettava la prescrizione riguardante la voce sommessa, ma urlava balebab tutte le sue benemerenze davanti a Dio, elencandole con pignoleria burocratica. Il pubblicano non ha niente di cui vantarsi, non ha niente da nascondere, tutti sanno tutto di lui. Può solo riconoscere la verità e affidarsi alla misericordia di Dio. Ed è quello che fa.

È più comodo leggere “stando seduti” bayyeshibah
A mano a mano che leggevo il siddur e lo confrontavo con il racconto di Luca, mi accorgevo che i due personaggi prendevano sempre più corpo, assumevano uno spessore impensabile, come se si presentassero  finalmente in 3 D e in HD. La ricostruzione dell’ambiente culturale e religioso restituiva la vita a due figure diventate scialbe e contraddittorie per gli abiti che gli erano stati cuciti addosso. Un’operazione anticulturale che aveva dell’incredibile.
Sono sceso in biblioteca e ho passato rapidamente in rassegna le traduzioni e i commentari di Luca con la speranza di trovare qualche appoggio alla lettura che avevo fatto di quel racconto. Certamente la nostra biblioteca non possiede tutto ciò che è stato scritto nel corso dei secoli sul vangelo di Luca ma offre una scelta di opere abbastanza rappresentativa del livello comune degli studi sull’argomento. In nessuno avevo trovato un riferimento alla ‘amidah per spiegare il comportamento dei due personaggi del racconto lucano.
Finalmente in un commentario al vangelo di Luca edito da Paideia nel 2007 si trova un cenno ad un possibile riferimento alla preghiera ebraica delle diciotto benedizioni. A commento del verbo greco stathéis la nota n. 8 dice: “La preghiera detta delle diciotto benedizioni è anche chiamata Amidah, cioè preghiera da pronunciare in piedi. Viene recitata in piedi, in silenzio, a talloni uniti. Ringrazio il collega (…) per queste informazioni”. Trovo sorprendente che il commentatore di Luca senta il dovere di ringraziare il collega per quelle che definisce “informazioni”, come se si trattasse di notizie riservate scambiate tra agenti dei servizi segreti. Invece bastava aprire il siddur e avrebbe trovato tutte le
informazioni desiderate e tanto altro ancora. Ma il nostro commentatore, molto preparato nell’analisi tecnica del testo, non era veramente interessato alle informazioni del collega. Infatti le ignora completamente nel suo commento che procede imperterrito sulle linee interpretative tradizionali.
Avevo cercato qualche punto di appoggio, qualche sostegno al mio ingresso nella ‘amidah e invece mi ritrovavo solo con quei due personaggi, in piedi accanto a loro. E dovevo decidere con chi stare, ora che li avevo conosciuti per quello che erano veramente al di là delle maschere  che erano state loro imposte. Stavo sperimentando che cosa significava quello stare ritto sui due piedi congiunti, alla ricerca di un equilibrio da ritrovare continuamente. E ho provato anche il rimpianto per la comodità della poltrona dove adagiarsi senza troppi problemi e dove ci si può permettere anche di addormentarsi senza correre il pericolo di finire a terra.
Guardare se stessi, gli altri, il mondo, lo stesso Dio da una posizione eretta, costringe a dare valore  e sfruttare tutte le occasioni che la vita offre. Ma oltre a questo insegnamento non da poco mi pare che vada evidenziata l’ambientazione della scena fatta da Gesù e conservata scrupolosamente da Luca nel suo racconto. Un’analisi più approfondita dei particolari potrebbe portare a conclusioni interessanti anche di carattere esegetico finora sfuggite agli studiosi.

1 commento:

  1. Una lettura del brano di Luca veramente interessante.Grazie,P.Giovanni!

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.