Gesù ha cambiato idea?
Forse lo ha pensato qualcuno dei fedeli
presenti alla messa che ho celebrato questa domenica 3 luglio, sentendo la lettura
del brano di vangelo proposto dalla liturgia (Luca 10,1-12.17-20). Anche
perché leggendo il vangelo ho dato particolare rilievo ai versetti 10-11 nei
quali Gesù prevede il caso di una città che rifiuta di accogliere gli
annunciatori del vangelo e ordina a questi come devono comportarsi, sia nel
caso che vengano accolti come nel caso di un rifiuto. In questa seconda
ipotesi, i discepoli devono scuotere ostentatamente la polvere dai sandali. Questo
gesto equivale ad una condanna esplicita del comportamento tenuto dagli
abitanti della città. Ma l’esecuzione della condanna è affidata alla giustizia
divina, non ai discepoli, ed è rimandata a “quel giorno”, cioè al giudizio
finale.
Ho evidenziato questo particolare perché,
commentando il vangelo della domenica precedente, avevo lasciato senza risposta
una domanda suscitata dal comportamento di Gesù. Il brano (Luca 9,51-62)
proponeva un caso molto simile. Gesù aveva inviato i discepoli a preparare il
suo arrivo in una città di samaritani, ma gli abitanti non avevano voluto accoglierlo.
Due apostoli molto zelanti, avevano chiesto l’autorizzazione di invocare la
punizione divina immediata per i colpevoli. Gesù aveva reagito in modo
inaspettato perché, invece di condannare quelli che si erano opposti a lui aveva
rimproverato i due apostoli che volevano difenderlo.
Si ha l’impressione che Gesù si dimostri
indifferente verso i suoi oppositori e che sia interessato soltanto a
garantirsi la possibilità di predicare. Infatti il racconto prosegue dicendo
che si incamminarono verso un altro villaggio, come a dire che se si chiude una
porta ce ne sono altre a cui bussare. L’attenzione viene portata sull’urgenza
dell’annuncio che deve prevalere su ogni altra considerazione. Il compito
affidato ai discepoli è mirato a preparare l’accoglienza del loro maestro.
Invece la domanda dei due era fuori da questa prospettiva perciò non viene
presa in considerazione da Gesù.
Punti di vista diversi
I due racconti di Luca presentano molti
elementi comuni ma si differenziano in tanti particolari. Nel primo caso si
tratta della cronaca di un fatto incentrato sulla persona di Gesù; nel secondo
caso Gesù delinea un programma che riguarda il futuro non solo immediato. L’orizzonte
del primo racconto è limitato alla regione della Samaria; il secondo presuppone
uno scenario universale indicato già dal numero dei discepoli (72 numero
simbolico!) e dalla indeterminazione dei luoghi.
Nel brano di Luca 10 l’attenzione viene portata
soprattutto sui comportamenti degli annunciatori e dei destinatari
dell’annuncio. Ai primi si richiede un coinvolgimento completo nell’annuncio,
ai secondi si prospettano due possibilità: una collaborazione diretta con gli
inviati o almeno un’accoglienza generica. Se questa viene a mancare, gli
inviati non possono rimanere indifferenti. Il loro intervento è presentato con
tratti spettacolari che da una parte significano la dissociazione completa
degli annunciatori da coloro che non li hanno accolti ma insieme sottolineano
la grave responsabilità che questi si assumono.
Come si vede, non si tratta di un cambiamento
di Gesù nella valutazione dei fatti, ma di un giudizio su due situazioni
analoghe ma viste da due angolature differenti. In ambedue i casi viene
evidenziato il tema della libertà dell’uomo nell’accogliere o rifiutare gli
inviti di Dio insieme alla consapevolezza delle conseguenze che ne derivano.
La costruzione del regno di Dio è affidata ai
discepoli che però devono confrontarsi con le situazioni concrete che non
dipendono soltanto dal loro impegno. Coscienti di questa realtà non cederanno
alla tentazione di imporre il regno di Dio con la violenza ma non si lasceranno
nemmeno sopraffare dallo scoraggiamento e dalla sfiducia che portano
all’ignavia e alla chiusura in un ghetto volontario.
I discepoli di Gesù devono trovare il giusto
equilibrio tra le due posizioni contrapposte: entusiasmo fondato sui successi
della predicazione e paura di dare le testimonianza della propria fede. Gli
ultimi versetti del brano di Luca (10,17-20) presentano Gesù che, ancora una
volta relativizza una situazione che poteva dar luogo ad equivoci. Egli frena
gli apostoli che vantano i loro successi basandosi su aspetti secondari e
indica quale deve essere il vero motivo della loro gioia: “i vostri nomi sono
scritti nei cieli”.
Un programma sempre attuale
Non si fa fatica a leggere queste pagine di
vangelo e pensare alla situazione della Chiesa, quella del passato ma
soprattutto quella di oggi. Senza scendere a troppi particolari, i discepoli
non devono essere motivati da interessi personali, devono sentirsi liberi da
qualsiasi legame di parentela o di amicizia. Devono accontentarsi di quanto è
loro offerto da chi li ospita. Il loro è un precariato permanente fondato però
sulla promessa che non mancherà mai nulla di ciò che è necessario alla vita.
Avranno vitto e alloggio assicurato ma non dovranno ambire ad appartamenti
sontuosi né a menu raffinati.
In modo insolito Gesù a questo punto si sente
in dovere di dare una motivazione razionale, quasi una garanzia esigita dalla
giustizia retributiva: “l’operaio ha diritto alla sua paga”: Sembra di sentire
un sindacalista!
Inoltre, i discepoli non dovranno cercare
ospitalità dove si sta meglio (“non passate di casa in casa…”) ma dovranno
impegnarsi a comunicare a chi li ospita il bene che hanno ricevuto, la pace,
cioè tutto ciò che rende la vita felice, a partire dall’amicizia con Dio.
È un progetto affascinante che può anche
ottenere il consenso delle folle. Ma i discepoli non devono cadere nella
trappola dei numeri, dei click su “mi piace”, degli applausi da concerti della
band di successo. Si riempiono gli stadi e le piazze: ringraziamo Dio, ma non
montiamoci la testa. Il regno di Dio è un’altra cosa. Anche Gesù ha avuto il
suo bagno di folla esultante, ma sappiamo com’è andata a finire.
Il realismo di Gesù è sorprendente e potrebbe
sembrare scoraggiante. Forse è per questo che il maestro si dilunga sul tema
della responsabilità personale. Ai discepoli spetta il compito di annunciare il
regno di Dio. Se lo fanno, nei debiti modi, hanno compiuto la loro missione e
non hanno nulla da rimproverarsi.
Ma chi non accoglie il loro messaggio è
responsabile delle proprie scelte e ne porterà le conseguenze drammatiche.
Purtroppo queste coinvolgeranno colpevoli e innocenti. È accaduto in passato e
continua ad accadere puntualmente anche al presente. Però ai discepoli fedeli
Gesù rinnova la sua promessa: “i vostri nomi sono scritti nei cieli”.
Un’ultima osservazione che ci porta alla
conclusione di questi due capitoli di Luca che leggeremo domenica prossima: la
parabola che ha come protagonista esemplare un “samaritano”, uno di quelli che
non avevano accolto Gesù e che i due discepoli volevano distruggere con i
fulmini mandati da Dio. Gesù lo presenta come esempio per il suo comportamento
verso chi aveva bisogno di aiuto.
Penso che ci sia molto da riflettere! Può essere utile rileggere il post del 16 marzo 2016
“Misericordia samaritana”
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