MISERICORDIA ESIGENTE
La misericordia di Dio è stata proposta dal papa Francesco come tema di riflessione per l’anno giubilare che sta per incominciare. Si tratta certamente di un argomento centrale nella Bibbia. È facile costatarlo anche solo vedendo il numero di volte in cui compaiono i termini che esprimono questa idea. Si potrebbe raccogliere un’antologia di testi biblici che presentano la fede del popolo di Israele in un Dio caratterizzato dall’amore che si esprime soprattutto nella misericordia.
C’è un testo molto citato quando si parla del nostro
tema. Si trova nel libro dell’Esodo (34,6) dove si narra che Dio presenta se
stesso a Mosè con queste parole: « Dio misericordioso e pietoso, lento
all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Questa automanifestazione di Dio
introduce la scrittura delle seconde tavole della Legge (i “Dieci
comandamenti”) viste come segno concreto della benevolenza di Dio nonostante
l’infedeltà del popolo e la strage che ne era seguita, interpretata come
castigo divino. Il riferimento è all’episodio conosciuto come “l’adorazione del
vitello d’oro”, soggetto anche di molte rappresentazioni artistiche, grazie
alle quali è diventato un cliché interpretativo della Bibbia spostando
l’attenzione sulla spettacolarità del racconto e facendo passare in secondo
piano la misericordia di Dio.
Questo spostamento di interesse che si è verificato
anche in altre occasioni, ha una sua spiegazione in quanto è più facile
rappresentare il peccato che non il pentimento e il perdono. Tanti modi di dire
popolari lo confermano. Ciò non toglie che la conoscenza della Bibbia a livello
popolare sia stata condizionata da presentazioni parziali e per ciò stesso
fuorvianti.
Se focalizzare l’attenzione sul peccato del popolo e
sul castigo che ne è seguito significa trasmettere un messaggio dimezzato e
quindi falso, lo è altrettanto presentare l’altra metà del messaggio isolandola
dal contesto letterario in cui è inserita. In questo modo si attribuiscono alle
parole della Bibbia dei significati che non hanno, correndo il rischio di
falsificare l’autentico messaggio che Dio, secondo la fede che si professa,
voleva comunicarci.
È il caso del testo di Esodo 34,6 che, come abbiamo
visto ci dà una definizione di Dio bellissima e incoraggiante. Ma se
proseguiamo nella lettura del versetto che segue, troviamo un’affermazione che
lascia sconcertati: «… ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa
dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta
generazione» (Esodo 34,7).
È questo il vero messaggio che ci propone la Bibbia
nel comporre l’identikit di Dio: misericordioso ma anche esigente, misericordia
e castigo. Ci piaccia o non ci piaccia. Sono le due facce della stessa medaglia
che non possiamo separare. Dovremo sforzarci di capire il loro rapporto per
poterlo anche spiegare, ma non possiamo far finta di niente e spacciare come
insegnamento autentico quello che è soltanto una mezza verità. Inoltre un messaggio
ridotto alla sola misericordia non tiene conto della realtà che si presenta il
più delle volte con una faccia drammatica che sembra suggerire un’immagine di
Dio ben diversa.
Il racconto di Esodo 34 è legato strettamente a quanto
narrato nello stesso libro al capitolo 20 che presenta quella che potremmo
chiamare la “prima edizione” del Decalogo. In breve, Mosè l’avrebbe distrutta a
seguito del peccato del popolo e, come abbiamo visto, sarebbe stata sostituita
da un’altra stesura. Stranamente, l’elenco dei dieci comandamenti ricordati da
tutti è quello distrutto, mentre quello riportato al capitolo 34 è conosciuto
quasi solo dagli studiosi. Ma la cosa interessante per il tema che stiamo
affrontando, è il confronto tra l’autopresentazione di Dio che troviamo nel
testo di Esodo 20,5-6 con quella del capitolo 34.
Nei due “identikit” (mi si passi il termine) i “tratti
segnaletici” che permettono di identificare il Dio biblico sono gli stessi: misericordia e
severità. Però nel capitolo 34 è elencata per prima la misericordia mentre nel
capitolo 20 si presenta per prima la severità. Il primo posto dato alla
misericordia non è casuale, come ho già sottolineato. Altrettanto si può dire
per la severità, ben comprensibile nello scenario terrificante in cui è
inserita la consegna della “Legge” nel capitolo 20.
Ma leggiamo il testo. «Io, il Signore, sono il tuo
Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla
terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il
suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei
comandi» (Esodo 20,5-6). Molti lettori si fermano inorriditi alla
fine del v. 5 perché non accettano l’idea che Dio possa essere così crudele e
ingiusto. Basterebbe fare un piccolo sforzo e continuare con la lettura del
versetto seguente per capire il significato della frase completa: come tre o
quattro sono una piccola quantità se paragonati a mille, così i castighi di Dio
sono una piccola cosa di fronte alla sua bontà.
I due identikit coincidono nel descrivere lo stesso
soggetto, l’unica differenza consiste nella faccia della medaglia che viene
presentata per prima ma non per questo deve essere considerata l’unica. Se
vogliamo conoscere il messaggio autentico trasmesso dalla Bibbia, non solo in
riferimento diretto a Dio, dobbiamo leggere i testi nella loro completezza
narrativa, cioè come unità letterarie significative e non come affermazioni
isolate.
Soltanto a questa condizione quella che ad un primo
impatto poteva sembrare una dichiarazione di crudeltà spietata diventa invece
l’affermazione più consolante di tutta la Bibbia. Ma bisogna rispettare il
testo per quello che dice e capire il senso delle parole. Anche in questo caso
una lettura “selettiva” del testo può portare al fraintendimento del suo
significato con risultati devastanti. Dobbiamo accettarlo per quello che è, non
per quello che ci fa comodo. Solo dopo ci chiederemo perché e come gli antichi
si erano fatta questa idea di Dio e a questo punto i tecnici daranno le
informazioni del caso.
Un gioco di squadra
Anche nel libro di Ezechiele si affronta il tema dell’apparente
ingiustizia e crudeltà di Dio con espressioni identiche a quelle dei testi di
Esodo citati. Il problema creava difficoltà tra il popolo anche in quegli anni
ed era vissuto sulla propria pelle dai deportati a Babilonia. Non era una
questione accademica ma nasceva da una sofferenza incomprensibile condensata in
un detto popolare: «I padri hanno mangiato l’uva acerba e i denti dei figli
si sono allegati» (Ezechiele 18,2; Geremia 31,29).
I due profeti reagiscono a questa interpretazione che
spingeva ad un atteggiamento di fatalismo. Dando per scontata la punizione per
una colpa commessa da altri si rendeva inutile qualsiasi impegno a cambiare
comportamento. In pratica si rifiutava quella conversione che invece era la
condizione indispensabile per ottenere il perdono di Dio, cioè per diventare
oggetto della sua misericordia.
«Colui che ha peccato e non altri deve morire; il
figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Al
giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità» (Ezechiele
18,20). E ancora continuando sullo stesso tema: «Forse che io ho piacere
della morte del malvagio – dice il Signore Dio – o non piuttosto che desista
dalla sua condotta e viva?» (18,23). Il profeta interpreta il desiderio che
Dio ha di manifestare la sua misericordia, ostacolato soltanto dall’ostinazione
dell’uomo nel compiere il male.
In questi testi di Ezechiele e in molti altri dello
stesso tipo non si trova il termine “misericordia” ma il messaggio che viene
comunicato è lo stesso di quello evidenziato nel testo di Esodo: Dio perdona
anche le colpe peggiori a patto che il colpevole desista dal suo comportamento
malvagio. In altri termini, Dio rispetta la libertà che ha donato all’uomo e
accetta le sue scelte.
Resta però ancora da capire il fatto che,
oggettivamente nella storia dei popoli come in quella delle famiglie, si
verifica proprio quello che facciamo tanta difficoltà ad accettare: le colpe
dei padri (o dei responsabili dei governi) ricadono sui figli o sui sudditi. Bisogna
però vedere anche l’altra faccia della medaglia. I figli o i sudditi godono
anche dei vantaggi ottenuti dalle scelte intelligenti fatte dai padri o dai
capi. In ogni caso tutti sono coinvolti, nel bene o nel male, dalle conseguenze
di decisioni prese da altri.
Penso che questa situazione veniva sperimentata
soprattutto nell’esperienza della vita delle tribù dove tutto era condiviso ed
era impensabile, o del tutto eccezionale, vivere isolati. Anzi,
l’allontanamento dalla tribù equivaleva ad una condanna a morte (cfr. Genesi
4,13-14). Per usare un’immagine più vicina alle nostre abitudini, potremmo dire
che tutta la vita era come un gioco di squadra, dove l’autogol di un giocatore
segna la sconfitta di tutti, come anche la prodezza di uno fa considerare vincitore
anche chi ha sbagliato tutto o addirittura è rimasto in panchina.
Il coinvolgimento in una sorte comune, nel bene o nel
male, non impedisce una valutazione del singolo anche opposta a quella data
alla squadra. Un giocatore bravo può meritare un otto anche se la squadra è
stata sconfitta come può ricevere un quattro chi ha giocato malissimo in una
squadra vincitrice. La responsabilità personale è tenuta distinta da Dio da
quella collettiva anche se le condizioni generali sembrano premiare i colpevoli
o punire gli innocenti.
Ma anche in questo caso non possiamo fermarci a citare
soltanto i testi che presentano il lato simpatico delle vicende umane, perché
la Bibbia si pronuncia anche sull’aspetto, meno gradevole ma purtroppo reale,
della vita e cioè l’esistenza del male. I testi di Ezechiele che abbiamo visto
sono inseriti in un contesto letterario più ampio che sviluppa il tema della
responsabilità personale, su cui il profeta ritorna più volte.
Soprattutto nel capitolo 18 il profeta presenta i
diversi comportamenti dell’uomo a cui si contrappone la risposta di Dio. Che
non è mai accomodante, non dice mai “facciamo finta che…”. Il Dio presentato
dalla Bibbia ci prende terribilmente sul serio, ci ritiene persone
responsabili, consapevoli delle nostre scelte. Ma non ci nasconde le
conseguenze che ne derivano e fa di tutto per evitarci il fallimento delle
nostre illusioni.
«Ma se uno ha generato un
figlio violento e sanguinario che commette azioni inique, mentre egli non le
commette, e questo figlio mangia sui monti, disonora la donna del prossimo,
opprime il povero e l’indigente, commette rapine, non restituisce il pegno,
volge gli occhi agli idoli, compie azioni abominevoli, presta a usura ed esige
gli interessi, questo figlio non vivrà; poiché ha commesso azioni abominevoli,
costui morirà e dovrà a se stesso la propria morte.
Ma se uno ha generato un figlio che,
vedendo tutti i peccati commessi dal padre, sebbene li veda, non li commette… costui
non morirà per l’iniquità di suo padre, ma certo vivrà. Suo padre invece, che
ha oppresso e derubato il suo prossimo, che non ha agito bene in mezzo al
popolo, morirà per la sua iniquità» (Ezechiele 18,10-14.17-18).
Siamo sinceri, al di là del linguaggio
legato ad una cultura diversa dalla nostra, non è quello che anche noi vorremmo
vedere quando ci troviamo di fronte ai comportamenti di tanti nostri
contemporanei che ripetono tali e quali i delitti denunciati dal profeta? C’è
una sintonia profonda tra la presentazione fatta dalla Bibbia della reazione di
Dio di fronte al male e quella che proviamo anche noi. Ma a patto di non cadere
poi nella trappola di lasciarci sedurre dal fascino esercitato dai
comportamenti che condanniamo quando sono seguiti dagli altri.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.