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Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

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lunedì 5 ottobre 2015

IL LIBRO DEL SIRACIDE




Un ponte tra due culture



Una volta era conosciuto con il titolo di Ecclesiastico, derivato dal latino della Vulgata. Oggi si preferisce indicarlo con un nome che ricorda l’autore. Ma poiché si trattava di un certo Gesù, figlio di Sirach, si è pensato che il nome potesse creare confusione inducendo a pensare che fosse una specie di vangelo scritto dal Gesù che tutti conosciamo. A scanso di equivoci si è scelto di usare un titolo assolutamente corretto anche se incomprensibile ai più. Si tratta di un “patronimico” cioè derivato dal nome del padre che si chiamava Sirach. Si è perso il riferimento ambiguo a Gesù e si è indicato il libro come “opera del figlio di Sirach”.


Ma il testo che abbiamo non è l’opera originale bensì una traduzione. L’ha fatta un nipote dell’autore, che ha voluto far conoscere il lavoro del nonno ai suoi amici. Ma poiché viveva in Egitto dove si parlava greco, si è sentito in dovere di tradurre dalla lingua ebraica quel libro che gli era particolarmente caro. La traduzione è stata impegnativa, lo dichiara lui stesso nella prefazione, ma ha affrontato volentieri quella fatica, vista l’importanza del libro. Non conosciamo il nome di questo nipote affettuoso e intraprendente che ha scelto l’anonimato per non togliere nulla alla grandezza del nonno.

La traduzione greca dev’essere stata particolarmente apprezzata se ha finito per sostituire il testo ebraico che venne dimenticato. La cosa ha avuto come conseguenza la sua esclusione dall’elenco di libri considerati sacri dagli Ebrei. Il ritrovamento di alcune pagine del Siracide in ebraico, avvenuto in seguito, non ha modificato il rifiuto ufficiale da parte dell’ebraismo.

Come si vede, la storia di questo libro è piuttosto complicata. Se passiamo a vederne i contenuti scopriamo altre cose interessanti, ad esempio troviamo nell’Introduzione, la prima attestazione dell’uso di dividere la Bibbia scritta in ebraico, in tre blocchi: Torah, Neviim, Ketubim (Legge, Profeti, Scritti). Il libro del Siracide andrebbe collocato nel terzo blocco perché appartiene al gruppo di scritti che hanno come caratteristica la ricerca della felicità attraverso l’uso intelligente delle risorse fornite dalla natura. Sono gli scritti definiti “sapienziali”.

L’uso della lingua greca non è stato solo un fatto linguistico ma ha implicato anche l’apertura ad una cultura fondata su basi diverse da quelle cui si ispirava la fede degli Ebrei. Per questi, la conoscenza del mondo avveniva soprattutto grazie alla fede in una rivelazione fatta dalla divinità attraverso le leggi e gli interventi dei profeti che annunciavano la parola di Dio (Torah e Neviim). Negli Scritti era già riconosciuto il ruolo della ragione per spiegare i misteri della vita ma questo atteggiamento, che possiamo considerare marginale nel mondo ebraico, era prevalente nella cultura greca.

Il Siracide si presenta quindi come un ponte tra i due mondi culturali: nasce e si sviluppa nella mentalità ebraica ma si fa conoscere entro i parametri di una cultura diversa. L’abbandono della lingua ebraica a favore del greco riconosceva implicitamente ad ogni lingua la capacità di esprimere la volontà di Dio. Questa convinzione permetterà ad altri Ebrei di scrivere direttamente nella lingua greca le loro riflessioni, come avverrà per il libro della Sapienza.

A proposito della lingua, il nipote che ha tradotto l’opera del nonno doveva conoscere bene l’ebraico e ne aveva grande stima se invitava i lettori ad essere indulgenti se non era riuscito “a rendere la forza di certe espressioni. Difatti le cose dette in ebraico non hanno la medesima forza quando vengono tradotte in un’altra lingua. E non solo quest’opera, ma anche la stessa legge, i profeti e il resto dei libri nel testo originale conservano un vantaggio non piccolo”. È interessante che l’importanza della lingua ebraica è riconosciuta per quello che è in se stessa, per le sue qualità intrinseche e non perché sia ritenuta una lingua sacra.

La convinzione che lo fosse è stata una delle cause per cui non sono stati inseriti nell’elenco dei libri sacri quelli scritti in greco. Invece il traduttore del Siracide considera l’ebraico una lingua straordinaria capace di esprimere idee e sentimenti con una “forza” (così la descrive) che altre lingue non possiedono. Io aggiungerei anche un’altra considerazione, e cioè la lingua che noi chiamiamo ebraica in realtà è la lingua delle popolazioni locali (i “cananei”). Gli Ebrei non l’hanno inventata ma l’hanno imparata stando in mezzo alla gente del paese dove si erano trasferiti come immigrati. Il merito indiscusso degli Ebrei, e di cui siamo loro perennemente grati, è di aver scritto una quantità di testi in quella lingua e di averli conservati con cura quasi maniacale, mentre i cananei ci hanno lasciato poche tracce scritte della loro storia e della loro cultura.

 Il nipote di Gesù figlio di Sirach non pensava certamente di compiere un’impresa di questa portata quando faticava a tradurre l’opera del nonno. Però senza saperlo ha compiuto un passo importante che permetterà ai cristiani di servirsi del greco per comunicare il messaggio di un altro Gesù figlio di un falegname, un ebreo che conosceva l’ebraico ma si esprimeva in aramaico, che ha avuto la pretesa di rivolgere il suo insegnamento a tutti i popoli. E come poteva farlo se non in greco?

Ma grazie all’intuizione di quell’anonimo traduttore e alle circostanze che hanno salvato il libro, oggi noi possiamo fruire degli insegnamenti di quella che consideriamo “la Bibbia intera” nelle due parti che la compongono, conosciute con il nome di Antico e Nuovo Testamento. A tutto questo complesso di scritti noi riconosciamo la finalità dichiarata nel Prologo del Siracide: “perché gli amanti del sapere… possano progredire sempre più nel vivere in maniera conforme alla legge”.


2 commenti:

  1. Articolo semplice,completo,perfettamente intellegibile

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  2. Grazie per l'apprezzamento che spero aumenterà con il contatto diretto con il testo del Siracide, maestro di sapienza anche per il nostro tempo. A lui va nostra stima e non a chi si limita a presentarlo, come cerco di fare nei nostri incontri.

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