LA BIBBIA E L’EXPO
Non ho visitato l’EXPO né ho intenzione di
andarci. Ma ho letto i giornali, ho visto la TV e mi sono fatto un’idea di che
cosa si tratta. Al di là delle facili critiche per le spese enormi che è
costata e per la prevedibile inutilità sul piano pratico dei cambiamenti che
dovrebbe portare, sono convinto che la manifestazione mondiale presenta più di
un aspetto positivo. Ne ho avuto conferma leggendo la pagina del vangelo che la
liturgia cattolica ha proposto per domenica 26 luglio.
È il racconto di un episodio molto noto, la
moltiplicazione dei pani e dei pesci compiuta da Gesù (Giovanni 6,1-15).
Non intendo spiegare quanto è avvenuto. Mi fermo solo su alcuni particolari che
mi hanno fatto pensare a quanto sta avvenendo a Milano e alle aspettative di
trasformazione nel modo di gestire le politiche riguardanti l’alimentazione.
Per prima cosa ho notato l’attenzione di Gesù
al bisogno di cibo della gente che lo seguiva. Si dà per scontato che per avere
il pane lo si debba comprare. Il problema evidenziato da Filippo è la mancanza
di risorse economiche. L’apostolo doveva essere un esperto se era riuscito a
fare un calcolo rapido della somma necessaria a soddisfare un minimo del
fabbisogno. Forse i “duecento denari” erano la disponibilità della cassa del
gruppo. L’osservazione lascia supporre che gli apostoli fossero pronti a
rinunciare al loro capitale per dare da mangiare alla folla.
L’intervento di Andrea è sulla stessa linea.
Ma questa volta coinvolge un ragazzo, presentato come l’unico previdente che si
era procurato una scorta di viveri non da poco. Cinque pani e due pesci
potevano bastare anche per più di un pasto, pur tenendo conto della fame di un
ragazzino in pieno sviluppo.
È facile immaginare la sua reazione quando
Andrea, a cui aveva confidato il suo segreto, non solo lo fa conoscere a tutti
ma addirittura gli prende il tesoro su cui contava per consegnarlo a Gesù. Il
Vangelo non lo dice, ma mi piace immaginare che i primi pani e pesci distribuiti
dagli apostoli siano stati consegnati proprio al vero eroe. I duecento denari
erano rimasti in cassa, l’unico che aveva pagato di tasca propria era lui,
l’anonimo e involontario collaboratore.
Ultima sorpresa: la raccolta dei rifiuti. La
scena è ambientata in aperta campagna. Nessuno si sentirebbe in colpa per aver
lasciato sul prato un pezzo di pane dopo averne mangiato a sazietà. Tanto più
che si trattava di un prodotto biodegradabile che sarebbe tornato alla terra da
cui proveniva.
Invece per Gesù nulla deve essere sprecato.
Il racconto non dice che fine abbiano fatto i dodici canestri pieni degli
avanzi raccolti. Notiamo che si parla di “canestri”, termine che indica un
contenitore domestico destinato a conservare anche derrate alimentari. Noi
invece gli avanzi li buttiamo nei “cassonetti”, termine collegato all’idea di
un recipiente per cose inutili.
Per Gesù il cibo è un dono e deve essere
rispettato per il suo valore intrinseco e per rispetto a chi lo ha donato. L’invito
a comprare il pane presuppone una società basata su una struttura economica
nella quale il lavoro viene retribuito con denaro. La situazione descritta nel
brano di vangelo presenta un caso eccezionale, un’emergenza a cui far fronte
superando l’egoismo individualista per lasciar posto alla condivisione e alla
solidarietà.
Non viene proposto un “manifesto” per
regolare la vita normale. Paolo avrà il coraggio di dirlo apertamente con tono
provocatorio: “chi non vuole lavorare, neppure mangi”
(2 Tessalonicesi 3,10) denunciando il comportamento di alcuni che “vivono
una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione” (3,11). Sono
individui senza dignità, parassiti fastidiosi, sanguisughe insaziabili.
Trasformare
l’emergenza in condizione di vita permanente era una trappola invitante e
suggestiva, anche a quei tempi. E i destinatari della moltiplicazione
miracolosa dei pani e dei pesci, ci sono cascati: vogliono costringere Gesù a
diventare loro re. È questo il risvolto politico che conclude il racconto. Chi ha
dimostrato la capacità di risolvere i problemi dell’alimentazione è certamente in
grado di governare il popolo che in cambio gli assicurerà il suo consenso. Era
il ragionamento “politicamente corretto” fatto da quei cinquemila fortunati.
Gesù taglia corto, non lascia spazio ad
equivoci. Il racconto era iniziato con Gesù che saliva sulla montagna
attorniato dagli apostoli e dalla folla, e si conclude con Gesù che sale ancora
sulla montagna. Ma questa volta è “tutto solo”.
E l’EXPO?
Gli organizzatori non hanno certamente
pensato a questa pagina di vangelo quando hanno scelto il tema della
manifestazione. Però è innegabile che ci sia una convergenza di interessi e di
contenuti tra queste due realtà.
Mi pare evidente prima di tutto l’attenzione
al problema dell’alimentazione, a livello mondiale per l’EXPO, in ambito limitato
per l’episodio evangelico. È una sensibilità che sta crescendo e che non era
presente nel passato. Penso che questa consapevolezza sia anche frutto di un
influsso della cultura ebraico-cristiana, che dipenda in qualche misura da
quelle “radici” che non sono state accettate ufficialmente ma che, nonostante
tutto, continuano a portare i loro frutti benefici.
In secondo luogo trovo una consonanza
profonda nel tema della solidarietà nell’affrontare il problema e nell’impegno
concreto per risolverlo. La facilità delle comunicazioni di notizie e degli
scambi di merci rendono oggi possibili interventi di aiuto una volta
impensabili. La condivisione dei beni sta diventando sempre più anche un
vantaggio economico senza perdere la sua dimensione umanitaria altruistica.
Il riutilizzo degli avanzi alimentari sta
entrando sempre di più nella coscienza comune e si collega con il rispetto
dell’ambiente naturale. “Evitare gli sprechi” non è solo uno slogan demagogico
per denunciare lo sperpero di beni materiali ostentato dai ricchi, ma sta
diventando una convinzione condivisa sempre più ampiamente. Si tratta della
stessa sopravvivenza dell’umanità e non di uno spauracchio per contrastare il
benessere di pochi privilegiati.
Ho l’impressione che tutti questi aspetti siano
presenti nelle intenzioni dichiarate da chi ha organizzato la kermesse mondiale
in corso. Mi pare anche di riscontrare un parallelismo con la pagina evangelica
e una condivisione di valori a livello di dichiarazioni ufficiali. Che poi
queste affermazioni programmatiche abbiano un seguito effettivo nella pratica
si potrà vedere solo nei prossimi anni. Da quello che si può intuire oggi,
penso che sia lecito dubitare della limpidezza delle intenzioni e del
disinteresse di chi ha investito nell’EXPO una barca di soldi. Lo ha fatto
senza sperare in un rientro economico oltre che di immagine?
Soprattutto mi pare difficile pensare che ci
sia qualcuno tra gli espositori disposto ad imitare Gesù che si sottrae al
successo assicurato per rimanere solo, contento di aver fatto del bene senza
sperare di averne un vantaggio personale.
Ma con Gesù siamo su un altro piano. E sono
contento di tenermi il mio Vangelo che dimostra la sua freschezza e la sua
attualità sconvolgente anche su un tema che può sembrare tanto lontano da
quella spiritualità disincarnata che gli è stata attribuita.
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