RAGIONE VS FEDE?
“Dio non ha creato la morte e non gode per
la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché
esistano”. Così
leggiamo nel primo capitolo del libro della Sapienza che continua affermando
che “Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria
natura” (Sapienza 1,13-14a. 2,23).
Il libro che contiene queste affermazioni così chiare fa parte della
Bibbia ma non è accolto dagli Ebrei. Il motivo è semplice: gli Ebrei
riconoscono soltanto come fondamento della loro fede i libri scritti in
ebraico, ritenuto la lingua sacra. Il libro della Sapienza invece è stato
scritto in greco e si trova nella raccolta di libri conosciuta come “Traduzione
dei Settanta” (LXX).
Si tratta appunto di una traduzione in lingua greca di tutti i
libri scritti in ebraico a cui sono stati aggiunti altri testi che sono
pervenuti a noi soltanto in greco. I traduttori erano tutti ebrei e questo
dimostra che nel secondo secolo prima della nostra era il mondo ebraico era
attraversato da discussioni e dibattiti tra gruppi legati alle antiche
tradizioni e gruppi aperti alle suggestioni provenienti dal mondo greco
profondamente segnato dalle riflessioni della filosofia.
Non si trattava dunque solo di una questione di lingua. Era un modo
nuovo di affrontare l’interpretazione della vita e di trovare risposte
soddisfacenti alla necessità di dare un senso alle vicende umane. La cultura in
cui affondava le radici la religione ebraica cercava queste risposte nella
volontà divina, comunicata attraverso gli interventi dei profeti o mediante
codici di leggi presentate come dettate dallo stesso dio nazionale per il bene
dei suoi sudditi.
La Grecia condivideva questa mentalità, basti pensare ai vari
oracoli che dispensavano responsi a nome di Apollo. Però grazie ai filosofi si
era aperta la strada alla ricerca di senso basata sulle capacità umane più che
su una rivelazione ricevuta da Dio. La sua stessa esistenza era raggiunta
attraverso il ragionamento.
“Davvero vani per natura tutti gli uomini che vivevano
nell’ignoranza di Dio, e dai beni visibili non furono capaci di riconoscere
colui che è, né, esaminandone le opere, riconobbero l’artefice”. “Difatti
dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro
autore” (Sapienza 13,1.5). I filosofi moderni contestano la validità
questa impostazione logica. I filosofi greci la ritenevano soddisfacente e su
di essa potevano dichiarare “irrazionale” la negazione della fede
nell’esistenza di un Essere superiore.
Ma era considerato contrario alla ragione anche un comportamento
diverso da quello derivante dalla conoscenza di Dio, considerato l’origine di
tutte le realtà esistenti. L’affermazione “(Dio) infatti ha creato tutte le cose perché
esistano” è frutto di
un ragionamento basato sull’attività produttiva dell’uomo. Se è irrazionale
produrre o costruire qualcosa per il gusto di distruggerlo anche Dio deve agire
secondo lo stesso criterio che guida l’attività umana. Quindi se Dio comunica
la vita non vuole la sua soppressione violenta e nemmeno condizioni tali da
renderla precaria.
Ragione
e fede a braccetto
Queste
considerazioni non nascono dalla “rivelazione” di qualche principio sconosciuto
che piove dall’alto ma sono frutto dell’attività che qualifica l’uomo e lo
distingue da tutti gli altri esseri: l’intelligenza, la ragione, la libertà, la
responsabilità delle proprie scelte. La Bibbia
in lingua greca ci presenta la stessa affermazione solenne “Dio ama
la vita e non vuole la sua soppressione” raggiunta attraverso le due strade
possibili: la rivelazione da parte dei profeti e la scoperta da parte della
ragione.
I racconti della creazione del mondo contenuti nel libro della
Genesi, scritti in ebraico, hanno le caratteristiche di una “rivelazione”
dovuta all’iniziativa di Dio e offrono una visione positiva della vita, anche
se offuscata da una realtà molto diversa con l’introduzione del tema della
morte. Le riflessioni sulla vita assolutamente ottimistiche, pensate e scritte
in greco, sono frutto della ricerca umana che conosce anche il fallimento. Sono
le due strade che portano alla stessa conclusione.
La Bibbia ebraica contiene diversi testi che presentano
insegnamenti per realizzare una vita felice senza ricorrere ad una rivelazione
particolare per mezzo di profeti o di leggi specifiche: sono i cosiddetti libri
Sapienziali. Però a differenza di quelli derivati dalla cultura greca, non
fanno riferimento alla ragione ma all’esperienza quotidiana trasmessa dagli
anziani. Alcuni capitoli del libro dei Proverbi (10-31) raccolgono considerazioni
nate dall’osservazione di quanto accade nella banalità delle vicende umane
descritte a volte con ironia e senso dell’umorismo (10,4-5.26; 11,22; 13,7;
14,4. 20; 15,15; 17,12.23.28; 19,6.24; 20,14; 21,9.19; 22,13; 23,29-35;
24,30-34; 25,14).
Purtroppo i testi biblici sono stati letti con il pregiudizio che
dovessero sempre esprimere il carattere sacro che veniva loro attribuito,
attraverso un linguaggio forbito, con concetti elevati garantiti dalla firma:
“Parola di Dio” oppure “Oracolo del Signore”. In nome del rispetto verso Dio si
è imposta una lettura seriosa del testo sacro che in realtà veniva tradito e
mutilato, sottoposto ad una censura dettata dalla paura di affrontare la
verità. Ringraziando Dio l’opera dei censori non si è spinta ad eliminare i
testi giudicati “sconvenienti” che sono giunti a noi con la loro carica
esplosiva che fa saltare ogni perbenismo culturale presentandoci la vita reale
come capace di esprimere la valutazione che Dio dà del comportamento umano.
Il Dio della Bibbia vuole la vita
L’affermazione che Dio vuole la vita delle creature è fondamentale
in tutta la Bibbia. E non si tratta di una vita stentata, ma vissuta nella sua
pienezza. Le descrizioni che la presentano sono legate, com’è ovvio,
all’ambiente particolare, alla cultura e alle abitudini molto diverse dalle
nostre. Così il profeta Zaccaria immaginava una vita serena: “Così dice il
Signore: Tornerò a Sion e dimorerò a Gerusalemme. Gerusalemme sarà chiamata
“Città fedele” e il monte del Signore degli eserciti “Monte santo”. Così dice il
Signore degli eserciti: Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di
Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. Le piazze
della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle
sue piazze” (Zaccaria 8,4-5).
Chi ha visitato i paesi del Medio Oriente prima dell’invasione
terroristica di questi ultimi anni, ricorderà certamente scene analoghe
popolate di vecchi (mancavano le “vecchie”!) seduti lungo le strade a fumare il
narghilè e frotte di bambini che giocavano spensierati. Questo era possibile
perché c’era la pace che garantiva sicurezza anche se le condizioni di vita del
popolo non erano certo quelle dei nababbi che governavano.
Altri libri della Bibbia descrivono particolari molto concreti che
manifestano la volontà di Dio nei confronti del suo popolo. Il testo di Geremia
31,10-14 (che consiglio vivamente di leggere!) parla di ragazze che danzano
felici, di giovani che fanno festa insieme ai vecchi, di cibo abbondante e di
prima qualità (grano, mosto e olio, carni tenere) a disposizione di tutti. Però
non è il paese di Bengodi, del piacere gratuito fine a se stesso. La vita
felice è fondata sulla giustizia praticata dagli uomini ed è considerata dono
di un Dio che non è geloso della felicità dei suoi figli (Geremia 31,20). Questi giungeranno a condividere il suo
stesso punto di vista (31,31-34) ed agiranno per convinzione personale e non
costretti da un codice di leggi.
Evidentemente si parla di un mondo ideale la cui realizzazione sarà
guidata da un personaggio che agirà in nome di Dio. Gli viene dato il nome di
Messia (consacrato) che sottolinea il suo legame con Dio. La sua presenza
futura è affermata con certezza anche se il tempo in cui il sogno si realizzerà
rimane sconosciuto.
I cristiani hanno condiviso questa promessa e l’hanno vista
realizzata in Gesù di Nazareth. Non si vede però ancora la sua realizzazione
nella storia. Perciò è doveroso interrogarsi se i testi biblici che presentano
questo tema sono stati letti e interpretati nel modo giusto. Di fronte alla
concretezza sconcertante delle descrizioni di un mondo nuovo voluto da Dio, si
è preferito rifugiarsi in interpretazioni spiritualiste che svuotavano di
contenuto quella che si continuava a proclamare “parola di Dio” ma che si aveva
paura di accettare nel suo reale contenuto. Le immagini di un benessere
materiale sembravano indegne di un programma di vita proposto da Dio e perciò
sono state trasformate in semplici simboli di realtà diverse proiettate in un
mondo futuro.
Ma la Bibbia non è fatta solo di promesse che riguardano un futuro
messianico di felicità e benessere. Troviamo anche descrizioni di situazioni
che sembrano fotografate dal vivo. Tra
i tanti testi ricordo solo come un servo di Abramo presenta il suo padrone: “Il Signore ha benedetto molto il mio padrone, che è
diventato potente: gli ha concesso greggi e armenti, argento e oro, schiavi e
schiave, cammelli e asini” (Genesi
24,35).
Però si è preferito interpretare come un’utopia o, al massimo,
come simboli di una realtà diversa le immagini di una vita serena, in cui
ognuno ha il necessario per vivere felice in armonia con la natura e con gli
altri esseri umani. Parole del tipo “grano, vino e olio” hanno finito
per perdere il loro significato per indicare qualcos’altro non meglio
identificato, come se fossero degli UFO. Pensare che Dio sia contento se le
ragazze possono danzare felici o che non esistano più conflitti generazionali
tra giovani e vecchi, o che tutti possano mangiare cibi di prima qualità
continua a sembrare disdicevole anche se sottolineato da un solenne ”Oracolo
del Signore” che conclude il testo di Geremia 31,10-14.
Dio parla attraverso la ragione
Ma quello che mi sembra particolarmente interessante nel testo del
libro della Sapienza è il fatto che è stato scritto in lingua greca da un ebreo
imbevuto della cultura del suo popolo ma anche conoscitore della mentalità
greca. Se la cultura ebraica dava importanza all’insegnamento dei profeti che
parlavano in nome di Dio, il mondo greco si fondava sulla capacità della
ragione umana di conoscere il senso autentico delle cose e il valore della
vita. Quello che l’ebreo raggiungeva attraverso una rivelazione profetica il
greco lo otteneva usando la ragione.
Su questo tema sono stati scritti migliaia di libri e il dibattito
tra gli studiosi continuerà ancora a lungo. Non ho la pretesa di aver scritto
la parola fine. Mi sembra però di poter affermare che il Dio presentato nella
Bibbia ama la vita nella sua pienezza, con tutte le manifestazioni gioiose che
può offrire. Lo ha insegnato con una rivelazione esplicita e anche con la
riflessione umana che non è in contrasto con la fede. Per usare un’immagine, è
come una linea ferroviaria che è formata da due binari. O si mantengono sempre
paralleli o portano alla catastrofe.
Sarebbe interessante anche una riflessione sul valore della vita a
partire dalle suggestioni derivate dall’EXPO con le prospettive che apre. Non
fanno pensare ad un possibile mondo messianico dove ci sia cibo per tutti e
condizioni di pace e libertà? La Bibbia ci dice che è un sogno realizzabile, a
patto che ci decidiamo davvero a costruirlo. È quello che Dio si aspetta da
tutti noi: che amiamo la vita nella sua pienezza non per pochi privilegiati ma
per tutti i suoi figli. Come non si stanca di ripetere papa Francesco.
A questo punto mi aspetto la solita obiezione: “Però la Bibbia è
anche violenta perché racconta di guerre e massacri compiuti su ordine di Dio”.
Sono abituato a sentirmelo dire e ho già risposto non so quante volte. Una
delle ultime è stata su questo blog con un post dal titolo: “Ancora su Bibbia e violenza” oppure anche “La Bibbia è crudele”.
Giovanni Boggio
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