UCCIDERE È RENDERE
CULTO A DIO?
La domanda angosciante dovrebbe affacciarsi
alla coscienza di tutti davanti a situazioni che hanno contrassegnato la storia
di popoli antichi ma che accompagnano ancora le cronache dei nostri giorni.
L’idea che le religioni siano la causa
principale di guerre e di massacri è piuttosto diffusa. Non si fa distinzione,
ma tutte sono considerate allo stesso modo. Nei nostri ambienti culturali si è
soliti accusare in modo particolare il cristianesimo e soprattutto il cattolicesimo,
di aver coltivato l’odio contro chi non era battezzato e non accettava di
sottomettersi al papa di Roma. Sempre si tirano in ballo soprattutto le
crociate descritte come un gioco al massacro degli infedeli usando come
strumento la croce impugnata come una spada.
Le solite “Crociate”
Non intendo affatto sminuire le
responsabilità dei cristiani, del papato, dei frati, dei predicatori. In nome
di Cristo hanno commesso e istigato a commettere crimini ingiustificabili e non
è difficile dimostrarlo. È anche vero che nei secoli successivi, e fino a non
molti decenni fa, da parte cattolica si raccontava quella triste storia come
un’epopea gloriosa in difesa della fede cristiana, mettendo tra parentesi gli
aspetti che oggi invece sono presentati così in primo piano da dare
l’impressione che i crociati fossero animati unicamente dal desiderio di
trucidare vecchi, donne e bambini per il solo gusto di compiere stragi di
innocenti.
A parte il fatto che, in questa ipotesi,
resta da spiegare come mai popolazioni imbelli e pacifiche siano riuscite a
ributtare a mare guerrieri armati fino ai denti, rinchiusi in fortezze che
mettono ancora paura con le loro rovine e animati da odio feroce contro il
nemico. Forse organizzando marce per la pace, cortei di protesta, petizioni per
chiedere l’intervento di qualche autorità superiore? Non c’è stata, forse,
qualche resistenza armata, qualche piccolo scontro di eserciti ugualmente
agguerriti, qualche intervento violento per respingere gli invasori?
Questi, da parte loro, erano soltanto dei
fraticelli smaniosi di uscire dai conventi di stretta osservanza per assaporare
l’avventura mascherandosi sotto l’etichetta di “liberatori del santo sepolcro”?
Non c’era per caso anche qualche imperatore che cercava di fare i propri
interessi politici ed economici sfruttando la deriva del fanatismo religioso e
mettendo in campo i propri eserciti ben armati e addestrati?
Via, siamo sinceri, Non sopravvalutiamo i
preti e i religiosi. Sono prete e religioso anch’io e per esperienza vi
assicuro che non siamo capaci di organizzare un esercito di quelle proporzioni
e con quelle caratteristiche tipiche delle crociate. Al massimo mettiamo
insieme un po’ di pellegrini per la terra santa, per qualche santuario che
assicuri anche una reception confortevole. Mettendocela proprio tutta riusciamo
anche ogni tanto ad organizzare una GMG. Raduniamo anche due milioni di giovani
che si danno la carica con canti, balli, preghiere e messe (e forse anche con
qualcos’altro…) ma non sfasciano negozi e vetrine. Lasciano solo dei rifiuti un
po’ più abbondanti del solito, ma non costringono la polizia ad intervenire in
tenuta antisommossa, né con gli idranti o i lacrimogeni e nemmeno con i
manganelli.
La storia è “Magistra vitae”?
Penso che ne abbiamo fatta di strada, almeno
a livello di sensibilità di fronte al problema del rapporto tra religione e
violenza. Ma non è stato sempre così e la Bibbia lo dimostra con descrizioni di
violenze inaudite praticate anche su ordine che si riteneva proveniente da Dio
stesso. L’uccisione di vite umane come sacrificio offerto a Dio per placare la
sua ira era comune a molti popoli antichi ed era condivisa anche dagli Ebrei,
nonostante il rifiuto esplicito di queste pratiche espresso ripetutamente nella
Bibbia.
Gesù supera in modo radicale questa
problematica con il suo unico comandamento dell’amore, anche se finisce pagando
con la propria vita la novità rivoluzionaria del suo insegnamento. La nostra
cultura che, nonostante non lo voglia riconoscere ufficialmente, affonda le sue
radici nella tradizione ebraico-cristiana-greca passando attraverso il filtro
dell’illuminismo, non nasconde più la violenza (che però mette ancora in atto)
sotto l’etichetta della religione. A denti stretti, ammette che a scatenare le
guerre ci sono cause molto terrene e non nobili ideali come si voleva far
credere in passato. Non basta certo scrivere sulle proprie divise lo slogan
“Gott mit uns” con una croce contorta da un vortice per far passare come guerra
di religione quella che è stata frutto di una mente delirante.
Lo stesso delirio però spinge ancora ad
uccidere sistematicamente chi si rivolge a Dio in modo diverso dal proprio e a
cancellare ogni traccia di altre culture, sopravvissuta alle distruzioni
causate dalla barbarie iconoclasta dei secoli passati. Non ci siamo ancora
liberati totalmente dall’incubo in cui ci avevano trascinati nazismo, fascismo,
comunismo e ci troviamo di nuovo avvolti dalle tenebre di un fanatismo
irrazionale che ci lascia basiti e increduli. E che inoltre offre nuovi e abbondanti
argomenti a sostegno della tesi che accusa le religioni di essere la causa
delle guerre e di ogni altra violenza.
Ho sviluppato queste riflessioni lunedì
mattina 11 maggio meditando sulla pagina del vangelo di Giovanni (16,1-2)
proposta dalla liturgia: « Vi ho detto queste cose perché non
abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in
cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio ». Sono rimasto
colpito dall’attualità delle parole dette da Gesù per esortare i futuri discepoli
a non avere paura nonostante le difficoltà che avrebbero incontrato a motivo
della loro fede.
Nei secoli passati i
cristiani hanno già dovuto affrontare situazioni drammatiche. Però la cultura
che condividevano con i loro carnefici li aiutava a metabolizzare in senso
positivo l’esperienza della persecuzione.
Ma oggi siamo
indifesi dal punto di vista psicologico. Ci troviamo di fronte a qualcosa che
ci sembra impossibile tanto è assurdo. Lo è per noi, non per chi non ha nemmeno
il coraggio di mostrare la faccia mentre infierisce contro chi è stato legato da
un gruppo di teppisti e non può difendersi. Nella nostra cultura chi si
comporta così è definito vigliacco come lo è anche chi si intrufola in modo
subdolo in un gruppo di persone pacifiche per compiere una strage.
Non sono eroi!
Diciamolo
apertamente, ritroviamo la consapevolezza dei valori umani che stanno alla base
della nostra cultura, ma siamo anche coerenti nel viverli. Non cediamo alla
suggestione della violenza distruttrice. Se era sbagliato quello che anche noi
abbiamo fatto in passato non diventa giusto oggi, solo perché è compiuto da
bande di fanatici assassini.
Riconoscerli e
denunciarli come tali è la condizione irrinunciabile per poterli sconfiggere e
renderli inoffensivi. Senza compromessi ideologici o remore psicologiche.
(Da Vita della
Diocesi di Viterbo, giugno-luglio 2015, pag. 32)
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.