A
proposito di “matrimonio e gay”
PAROLE DI UOMINI E
PAROLA DI DIO
“In principio era la parola”.
Incomincia così il vangelo di Giovanni che sembra l’eco della pagina iniziale
della Bibbia nella quale Dio con poche parole dà origine all’universo. Nel secondo
capitolo della Genesi è l’uomo stesso che assegna un nome agli animali, “e
quello è il loro vero nome” commenta l’autore del racconto.
La lingua ebraica dà molta importanza al
legame stretto tra la parola e l’oggetto che viene indicato. Anche i nomi delle
persone non sono considerati tanto come segni di riconoscimento ma piuttosto
come espressione del carattere o del compito che la persona deve svolgere nella
vita del popolo.
Un po’ di enigmistica
Se si vuole esemplificare, c’è solo
l’imbarazzo della scelta. Molti giochi enigmistici si fondano sul valore
polisemantico di certi vocaboli. Pensiamo anche solo al termine “sale”: quanti
significati può avere? Può indicare il cloruro di sodio oppure altri composti
chimici. O può anche essere il plurale di “sala”, oppure la terza persona
singolare del presente dal verbo “salire”.
Una trasmissione radio di questi giorni si
intitola “610”
ma letto: “Sei uno zero!” che potrebbe essere inteso come un insulto (“Non vali
niente!”), ma che nell’intenzione degli autori vuole essere solo una battuta
spiritosa.
Mi viene in mente la storiella che mi
raccontava mia madre, di una sua amica che cercava di bloccare il cameriere
ripetendo “Lì, Lì” mentre quello continuava a riempirle il piatto di spaghetti.
Per la signora, “Lì” voleva dire “basta così” ma il cameriere (un “immigrato”…)
pensava che volesse dire “mettine ancora lì, cioè nel piatto”.
Anni dopo ho sentito lo stesso racconto in
chiave di lettura ebraica. Il solito protagonista anonimo, il solito
ristorante, il solito cameriere (straniero, questa volta italiano), la solita
invocazione accorata che in lingua ebraica suona “Dài”. Ma se in ebraico vuol
dire “Basta così”, in italiano comunica il desiderio contrario di un affamato
cronico che guarda torvo il cameriere che sembra misurargli il cibo con il
bilancino.
Un’altra storiella che si racconta, riguarda
un missionario nella selva amazzonica tra una popolazione di lingua quechua. Durante
la celebrazione di un matrimonio tra due indigeni il missionario chiese ai due
sposi di stringersi la mano destra. Momento di panico generale, mentre i due
sposini imbarazzatissimi si esibivano in una manovra inconsueta e tutt’altro
che semplice. Tutto finì in una risata generale quando si riuscì a capire che
il missionario aveva scambiato le mani con i piedi.
Il “matrimonio” tra gay
La storiella mi introduce finalmente
nell’argomento. È un tema insidioso e ci tengo a precisare subito che in questa
sede mi interessa unicamente l’aspetto lessicale, come si poteva già dedurre
dagli esempi portati all’inizio. Non voglio entrare in problemi di morale o di
medicina, di cultura o di politica né di religione, perché sono come mine
nascoste pronte ad esplodere se appena sfiorate. Correrò questo rischio perché
mi sono sentito provocato dal clamore che si è levato a seguito del referendum
svoltosi in Irlanda con il riconoscimento del “matrimonio” tra persone dello
stesso sesso e con i dibattiti che ne sono seguiti.
Se non fosse ancora chiaro il mio punto di
vista, preciso che la mia reazione ai commenti riguardanti quel voto
rivoluzionario non è dovuta al riconoscimento di una condizione di vita, ma
unicamente al fatto che per definirla si è usato un termine inadatto, cioè
“matrimonio”. Per essere ancora più chiaro, si è incollata un’etichetta che
presenta un prodotto diverso da quello contenuto nella scatola o nella
bottiglia. In questa sede, ribadisco, non valuto la bontà del prodotto ma
soltanto la corrispondenza tra la merce che viene offerta e le parole che me la
presentano. Chiedo solo che non si metta l’etichetta “Barolo” su una bottiglia
di “Brunello”: ottimi tutti e due, ma voglio sapere cosa mi offrono da bere.
Di fronte ai commenti trionfalistici di chi
cantava vittoria, mi sono rivolto a chi conosce il significato e il valore
delle parole meglio di quelli che le usano a vanvera o peggio ancora per
mascherare un prodotto che inconsciamente sentono di qualità inferiore a quello
indicato dall’etichetta con cui lo presentano.
Che cosa dice l’Accademia della Crusca?
E mi sono rivolto all’Accademia della Crusca
per sapere che cosa trovo nella scatola
che porta l’etichetta “Matrimonio”. Nel caso più comune si tratta « di ‘unione
di un uomo e di una donna che si impegnano, davanti a un’autorità civile o
ecclesiastica, a una completa comunione di vita nel rispetto dei reciproci
diritti e doveri’». Era proprio quello che pensavo. Ma c’è anche la possibilità
che mi trovi di fronte alla stessa situazione vissuta però con una
interpretazione religiosa. È quello che la fede della chiesa cattolica
considera « ‘sacramento con cui si attribuisce carattere sacro all’unione di un
uomo e di una donna’». Cambia la prospettiva ma la realtà di fondo è la stessa.
La terza possibilità presentata si stacca dal
concreto per entrare nel mondo della fantasia, delle immagini, del “facciamo
finta che” oppure del “più o meno come…”. Con termini tecnici la Crusca
afferma: « il lemma può essere impiegato nel senso figurato di ‘unione,
associazione di due elementi, strutture, organizzazioni e simili’». Questa è
poesia, è arte. È come se nella scatola con l’etichetta “Frutta fresca”
trovassi un dipinto dal titolo “Natura morta”. Potrà anche essere un bel
quadro, potrà rappresentare frutti appetitosi, ma non corrisponde a quanto mi
era promesso dalle parole che lo presentavano.
Passando poi all’etimologia del termine,
l’Accademico della Crusca evidenziava giustamente la derivazione dal genitivo
latino “matris” unito al termine “munus”, per cui l’origine del nome indica
chiaramente che il matrimonio era considerato “il dovere della madre”, che non
poteva essere tale senza la collaborazione del padre (“patrimonium”!).
Insomma, gira e rigira, si finiva sempre nel
legame stretto con la funzione generativa che qualificava il matrimonio. Sarà
anche antipatico e inviso a molti contemporanei, ma nella lingua italiana
autentica, perché l’etichetta “matrimonio” non sia falsa deve essere applicata
all’unione di un uomo e di una donna che si assumono determinati impegni di
fronte ad una società che riconosce ai due, determinati doveri e diritti.
Nulla impedisce ad una qualsiasi società
laica o religiosa di organizzarsi in modo autonomo, secondo criteri suggeriti
dalla cultura, dall’ambiente, dalle mode, dai gusti condivisi dalla maggioranza
dei componenti il gruppo sociale, e dare a strutture o aggregazioni particolari,
norme di comportamento adeguate. A patto che non si bari e che si identifichi
con un nome univoco ogni gruppo che desideri ottenere un riconoscimento
ufficiale.
Come si vede, non si tratta di negare dei diritti
discriminando le persone. Piuttosto si tratta di definire con chiarezza compiti
e responsabilità di ognuno, cosa fondamentale per una convivenza sociale
rispettosa dei diritti di tutti.
Vogliamo le etichette giuste
E allora, perché ostinarsi a definire
matrimonio un rapporto tra persone che non corrisponde al significato che il
termine ha nella nostra lingua? Un piccolo sforzo di fantasia, per favore! Gli
intellettuali, i letterati, gli artisti. I cantanti, i giornalisti, i politici
impegnati a far riconoscere diritti negati, inventino altre definizioni per
indicare le diverse tipologie di unioni che vogliono difendere e penso che in
questo modo riusciranno più facilmente ad ottenere quanto desiderano.
Si faccia un po’ di chiarezza nel linguaggio
e tutto sarà più semplice. Sono così bravi ad organizzare cortei e
manifestazioni colorate, ad inventare slogan originali e spiritosi. Perché si
accaniscono per appropriarsi di una parola che non li definisce? Rispettosi
delle libertà, come dicono di essere, lascino il termine “matrimonio” a chi si
sente rappresentato da quel tipo di rapporto vecchio e superato e trovino altre
definizioni che corrispondano alle novità che sono convinti di portare. Perché
usare una terminologia antiquata quando urge una realtà così diversa che esige,
come dicono, una mentalità totalmente differente?
Permettetemi un riferimento, che potrà anche
sembrare irriverente. Parafrasando la battuta di Gesù riportata nei vangeli:
“vino nuovo in otri nuovi”, si potrebbe dire: “per unioni nuove, etichette
nuove”, per non creare confusioni e malintesi. Sapendo esattamente di che cosa
si tratta sarà possibile anche mettersi d’accordo senza scomuniche reciproche,
senza insultarsi compilando diagnosi di malattie vergognose a chi vuole vivere
in modo diverso.
Il caso dell’Irlanda pone anche un altro
problema: che cosa significa una maggioranza di opinioni? Anche in questo caso
le parole dovrebbero dare la risposta. I sondaggi o i referendum ci offrono
soltanto dei dati statistici su che cosa pensa la gente e su quali decisioni pratiche
sono gradite ai cittadini.
Invece l’interpretazione comune dei risultati
di consultazioni di questo tipo giunge subito ad una conclusione che va ben
oltre il significato dei termini e si parla subito di “verità finalmente
raggiunta”. Il che è un’affermazione chiaramente falsa, anche perché viene
sbandierata quando i risultati confermano le proprie idee ma viene respinta
quando sono in contrasto. In questo caso non si esita a parlare di
“oscurantismo trionfante”, linguaggio caro agli specialisti dei due pesi e due
misure.
Ma il tema è troppo importante e vorrei
ritornarci su con calma. Per concludere, faccio solo una domanda: “Per quanti
secoli la maggioranza (o la totalità) degli uomini ha affermato che il sole
gira attorno alla terra?”. Era la verità?
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