…e venne Gesù
“A PORTE CHIUSE”
Abbiamo letto questa frase nei testi del
vangelo proposti dalla liturgia nei giorni dopo la Pasqua. Nei racconti delle
apparizioni di Gesù risorto, questo particolare è importante perché sottolinea
due aspetti dell’esperienza vissuta dagli apostoli: la realtà della presenza di
Gesù e insieme la diversità del suo modo di essere presente. È lo stesso Gesù
che hanno conosciuto durante la sua vita ma è anche diverso nelle sue
caratteristiche.
Si tratta di un’esperienza assolutamente
nuova nelle sue modalità, ma è anche la continuazione di un rapporto di
familiarità e di amicizia iniziato anni prima. Quando Gesù insegnava ai
discepoli come avrebbero dovuto comportarsi, spesso non lo avevano capito e
glielo avevano detto apertamente, ricevendo anche i rimproveri del Maestro. Ora
non capivano nemmeno il suo nuovo modo di vivere e di presentarsi. Tommaso ha
il coraggio di dire brutalmente quello che forse pensavano tra sé anche gli
altri apostoli. La sua è una sfida a Gesù: «Se è davvero lui, si lasci toccare.
Voglio verificare le sue ferite per evitare che si presenti un suo sosia che si
spaccia per il Maestro».
Gesù accetta la sfida e invita Tommaso a
procedere nel suo esame. Possiamo facilmente immaginare la curiosità degli
altri apostoli per vedere come sarebbe andata a finire. Sì, perché il dubbio di
Tommaso in prima battuta era stato un insulto a tutti gli altri che si
sentivano accusati di essere un gruppo di creduloni ingenui facilmente
suggestionabili.
Era lo stesso giudizio che avevano espresso i
maschi della compagnia nei confronti delle donne che per prime avevano dato la
notizia del loro incontro con il risorto. Giudizio condiviso con distacco anche
dai due che se ne andavano ad Emmaus, quando dicono al compagno di viaggio che
avevano sentito dire che il Maestro era risorto, ma che era una voce messa in
giro da «alcune donne». Cioè, si trattava di pure fantasie a cui non si doveva
dare peso.
Ma al di là di queste considerazioni sul
testo del vangelo, mi sono sentito provocato dal fatto che «Gesù entra a
porte chiuse», cioè senza chiedere permesso, come un intruso che per di più
concentra l’attenzione su di sé. Mi ero sempre sentito proporre un’altra
immagine di Gesù che si presenta come un pellegrino discreto, che si ferma alla
porta e bussa chiedendo educatamente se lo vogliamo accogliere (cfr. Apocalisse
3,20), disposto a continuare nel suo cammino in cerca di ospitalità. Immagine
bellissima. E corrispondente alla realtà. Il Signore comunemente si presenta
proprio in questo modo, non invadente, sommesso. Non urla i suoi inviti ma li
sussurra e solo un animo attento e sensibile è in grado di percepirli e di
accoglierli.
Il pensiero corre subito al profeta Elia che
scopre la voce di Dio nel mormorio di una brezza leggera dopo aver sentito
l’urlo di un vento devastante che lo aveva sconvolto, dopo aver provato lo
spavento del terremoto ed essere scampato ad un incendio furioso (cfr. 1Re
19,11-13).
Tutto vero. Ma è anche vero che c’è la
possibilità che la calma e il silenzio favoriscano l’insorgere di una
sonnolenza pesante, anticamera di un sonno profondo che aliena dalla realtà. O
ancora più semplicemente, che ci si adagi nelle comodità di un ozio
improduttivo ma che sembra appagare il desiderio di tranquillità che tutti
sogniamo.
I vangeli presentano gli apostoli rinchiusi
in casa «per paura dei Giudei» (Giovanni 20,19). Forse la stessa paura
(inconfessata!) impedisce a noi, cristiani del 2000, di affrontare a fronte
alta, ma senza alterigia, il mondo per proporre il messaggio del vangelo.
Sottolineo: proporre non imporre. Cioè offrire una possibilità di vita
migliore, di rapporti tra persone, culture e nazioni basati sulla
collaborazione e l’intesa e non sulla competizione egoistica che mira ad
eliminare fisicamente ogni “altro” diverso da me.
Penso che non sia troppo azzardato
interpretare le tragedie assurde e le stragi di innocenti che devastano le
nostre città come uno scossone violento che ci dovrebbe svegliare dai
sogni che ci hanno illusi in questi anni
passati. I racconti del vangelo ci suggeriscono l’idea che il Signore si sia
intromesso nella nostra vita, nonostante che noi gli avessimo chiuso la porta,
per spingerci ad uscire dalle nostre paure sostenuti dalla certezza che lui è
con noi e quindi non ci può accadere nulla di male.
(Pubblicato sul mensile Vita della Diocesi
di Viterbo, maggio 2015)
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