BIBBIA E ALIENI
(Salmo 82)
“È
vero che nella Bibbia c’è scritto che Dio muore come tutti gli uomini?”. La
domanda mi è stata rivolta da un amico che l’aveva letta in un libro dove si
parlava di alieni che avrebbero colonizzato la terra. La Bibbia avrebbe
conservato il ricordo di queste presenze, interpretate come manifestazione di
qualche divinità. Il Salmo 82 sarebbe una testimonianza evidente di come
avvenimenti di un passato molto lontano siano stati letti in una prospettiva
nuova che ne cambiava il significato.
Che cosa sono i Salmi?
Il Salmo 82 fa parte di un gruppo di
scritti che presentano una caratteristica comune: sono delle preghiere
indirizzate al Dio adorato dal popolo ebraico in situazioni concrete. Non
possiamo prescindere da questo elemento. In questa prospettiva ci apre uno
scenario inquietante, se cerchiamo di
capire la situazione che ha spinto un pio ebreo a pregare il suo Dio con
espressioni così forti.
Nella raccolta dei 150 Salmi non sono rare
invocazioni a Dio perché intervenga a risolvere ingiustizie contro singole
persone o contro il popolo. A volte la richiesta di aiuto si trasforma in
autentica imprecazione. Quello che sorprende nel nostro caso, è la denuncia
contro un’intera classe di soggetti che a quell’epoca dovevano rivestire
incarichi molto importanti. I termini usati per indicare questi (ir)responsabili
suggeriscono di vedere un’intenzione dissacratoria nella preghiera del salmista,
che non si nasconde dietro l’anonimato ma viene chiamato per nome: Asaf.
Ma come si giunge all’identificazione dei
personaggi a cui si riferisce il Salmo? Nel testo ebraico sono chiamati “Elohìm”
termine di forma plurale che comunemente viene usato per indicare gli esseri
divini, cioè gli dèi rappresentati negli idoli. Però lo stesso termine definisce
anche il Dio di Israele, come nel nostro Salmo al v. 1 e come in Genesi 1,1 e
seguenti. Va notato però che quando si riferisce a Dio i verbi sono alla terza
persona singolare.
Il termine in se stesso non ha dunque un
significato univoco. Nel Salmo 82 abbiamo però una descrizione
dettagliata delle azioni attribuite a questi Elohìm nei versi da 2 a 4. Sono accusati di
emettere sentenze inique per favorire i delinquenti a danno della povera gente
e per ricavarne un vantaggio personale. Sembra però che si tratti di autorità
che hanno il compito non solo di applicare le leggi ma anche di produrre leggi
giuste che dovrebbero garantire il
benessere soprattutto dei più deboli.
Nel Salmo ricorre quattro volte il verbo shaphat;
due volte ha per soggetto Elohìm ed è usato alla terza persona singolare
(vv. 1.8), due volte è al plurale riferito agli Elohìm (vv. 2.3). Il
verbo in questione indica certamente la funzione esercitata dai giudici nei
tribunali ma si estende anche a quello che noi chiamiamo potere legislativo o,
più in generale, alla responsabilità di governare il popolo. Il libro dei Giudici
attribuisce questo titolo ai capi delle rispettive tribù ai quali spettava
anche il compito di guidare l’esercito. Il riferimento sarebbe dunque alle
autorità che governavano lo stato in tutti i settori del potere, politico,
giudiziario, economico, culturale, religioso.
Dunque non è azzardato supporre che,
all’interno del popolo ebraico i gestori di questo potere condividessero
un’opinione comune a quei tempi quando il potere (in ogni sua manifestazione)
era fatto derivare da un’investitura ricevuta dalla divinità. L’idea era
radicata nelle popolazioni dell’Oriente ed è documentata ampiamente nell’antico
Egitto dove il Faraone era considerato un essere divino e come tale era onorato
e venerato. Qualcosa di analogo si verificava in Grecia come anche a Roma soprattutto
in epoca imperiale.
La
Bibbia esprime la stessa idea quando presenta i capi del popolo come scelti da
Dio, usando la terminologia dell’elezione divina. Forse era stato lo stesso
potere che aveva inventato la teoria che non solo giustificava ma sacralizzava
la gestione dell’autorità. Il passo a considerare i governanti degli esseri
superiori ai comuni mortali era molto breve e terribilmente allettante.
Con queste premesse era quasi inevitabile che
i capi finissero per considerarsi onnipotenti potendo decidere della vita e
della morte dei loro sudditi, potendo disporre dei beni materiali prodotti con
fatica dal popolo, semplicemente con un decreto, con una firma che non costava
niente. E per di più ricevevano onori tributati alla divinità, da parte di sudditi
compiacenti e interessati, adulatori di mestiere, pronti a rinunciare alla
propria dignità in cambio di qualche briciola che cadeva dalla tavola dei
potenti.
La “divisa” dei capi
Per rendere evidente la distinzione tra capi
e sudditi ed evitare spiacevoli equivoci era necessaria una “divisa”. La preziosità
dei tessuti con cui erano confezionati gli abiti dipendeva dalla ricchezza
accumulata dalla classe dirigente, ma non era ritenuta sufficiente per
sottolineare la superiorità nei confronti della gente comune. Era necessario
stabilire fogge di vestiti speciali riservate ai diversi livelli di autorità,
inventare segni convenzionali per indicare le funzioni svolte e distinguere i
gradi della gerarchia. Era cosa ovvia stabilire un protocollo di atteggiamenti
da tenere nell’avvicinare i capi, nel rivolgere loro la parola. Inchini,
prostrazioni, baci, formule studiate con cura da usare nelle diverse
circostanze in cui i comuni mortali avevano il privilegio di essere ammessi alla
presenza del potente di turno.
La corte dei faraoni egiziani è forse quella
che aveva il cerimoniale più ricco e complesso, o almeno è quella che
conosciamo meglio grazie alle numerose rappresentazioni giunte fino a noi.
L’ureo con il cobra in posizione di attacco doveva scoraggiare ogni
malintenzionato nei confronti del sovrano che non doveva nemmeno essere
guardato in volto. I numerosi figuranti che circondavano i re non erano
soltanto una guardia del corpo ma erano una dimostrazione di potenza. Chi aveva
la fortuna di appartenere alla corte si considerava un privilegiato e aveva
tutto l’interesse a mantenere le distanze e sottolineare le differenze.
Tutto questo insieme di rituali costituiva
una liturgia che non era considerata “laica” nel senso che diamo noi a questo
termine, bensì era vista come il prolungamento dell’atteggiamento che si doveva
tenere di fronte alla divinità.
Potenti = prepotenti?
Da potenti a prepotenti era il passaggio
obbligato, denunciato apertamente da Samuele nel suo manifesto antimonarchico (1
Samuele 8,10-19). Il problema della gestione del potere è affrontato in
modo radicale nel libro di Ezechiele. Nel capitolo 34 troviamo affermata l’idea
della scelta dei capi compiuta da Dio, il che fa pensare ad un’origine divina
del potere stesso. Ma il termine usato per indicare i capi è ricavato da una
professione assolutamente terrena com’è quella del pastore. È vero che questa
qualifica veniva attribuita anche alle varie divinità, e infatti nello stesso
capitolo Ezechiele rivendica a Dio il ruolo di pastore.
Il profeta denuncia i capi per la loro
arroganza, per lo sfruttamento dei sudditi a proprio vantaggio, per la violenza
del loro comportamento a danno dei più deboli. Non si tratta di desacralizzare
il potere in se stesso ma di ricondurlo entro i suoi limiti naturali che sono
quelli voluti da Dio, cioè il benessere di tutti.
Le pagine della Bibbia che riferiscono
giudizi ugualmente severi nei confronti di chi esercita il potere per il
proprio interesse sono numerosissime. Pensiamo solo al caso di Davide che
ordina ad un suo suddito di commettere un omicidio per nascondere il proprio
adulterio (2 Samuele cap. 11-12) o per esempio al Salmo 94. Nel libro
dei Proverbi si esalta la saggezza dei re fino a dichiarare che non sbagliano o
addirittura che comunicano la vita, certamente in senso metaforico ma comunque
con un’espressione ardita (16,10-15; 29,2a.4a.14) pronti però a condannare i
governanti empi ed esosi (29,2b.4b.12.16). Il Qoèlet, con un’espressione
disincantata, esorta a non meravigliarsi di un governo che «opprime i poveri
e calpesta la giustizia e il diritto» (5,7). È la prassi normale, sembra
voler dire.
Nel
Nuovo Testamento troviamo una continuità con l’Antico nella valutazione dei
comportamenti delle classi dirigenti a partire dalla figura del re Erode
soprattutto quando si riporta l’omicidio del Battista ordinato dal re per
soddisfare un proprio capriccio. Gesù non è tenero con le autorità del suo
tempo. Rispetta e difende il ruolo ma denuncia il modo con cui è applicato nella
realtà, basta pensare ai contrasti con la dirigenza religiosa che sfocia con la
sua condanna a morte.
Il potere dà alla testa
Ma c’è un episodio non molto citato, che
offre una fotografia impietosa dei disastri originati da un potere impazzito,
dominato da un delirio di onnipotenza vissuta dal padre e trasmessa al figlio
insieme a quelli che hanno avuto il privilegio (così pensavano!) di essere
educati con lui a corte. Il padre si chiamava Salomone e il figlio Roboamo. Il
Siracide condivide il giudizio tradizionale su Salomone: esprime ammirazione
per alcuni aspetti del suo governo ma non nasconde la degenerazione
nell’esercizio del potere fino a definirla follia (Siracide 47,12-20).
Al contrario è totalmente negativa la valutazione del comportamento di Roboamo
liquidato con un drastico «stoltezza del popolo e privo di senno»
(47,23c).
Che Salomone avesse motivo di montarsi la
testa e di credersi superiore ai comuni mortali è fuori dubbio, stando a quanto
è descritto ampiamente nei racconti biblici che però accennano anche quasi a
malincuore agli aspetti negativi del suo governo. Nei confronti del figlio
invece, la Bibbia totalmente negativa. Anche perché l’autore del racconto segue
lo schema collaudato di usare le parole attribuite all’accusato che finisce
così col condannare se stesso. È il metodo seguito da Natan per giudicare
Davide (2 Samuele 12,1-12), o anche da Isaia con la parabola della vigna
(Isaia 5,3) e dallo stesso Gesù quando invita i suoi ascoltatori a
riflettere e a giudicare il proprio comportamento.
Nel
caso di Roboamo le parole che gli sono attribuite dimostrano la sua convinzione
(condivisa dai suoi amici “educati” con lui a corte) di essere superiore a
tutti, compreso il padre ritenuto già il più saggio governante mai esistito. La
boria del figlio del re supera ogni immaginazione: «Il mio mignolo è più grosso dei fianchi di mio padre. Ora, mio
padre vi caricò di un giogo pesante, io renderò ancora più grave il vostro
giogo; mio padre vi castigò con fruste, io vi castigherò con flagelli» (1 Re 12,10c-11).
Però
l’autore di questa cronaca non è indulgente nemmeno con gli anziani che
suggeriscono al giovane re di fingersi condiscendente verso le richieste del
popolo per poterlo poi sfruttare meglio: «Se oggi ti farai servo
sottomettendoti a questo popolo, se li ascolterai e se dirai loro parole buone,
essi ti saranno servi per sempre» (1 Re 12,7). Alla politica brutale
dei giovani è contrapposta quella subdola degli esperti. Chiamarla diplomazia
non cambia la sua natura che rimane sempre quella di uno strumento perverso del
potere sotto qualsiasi forma si presenti.
Chi
sono gli Elohìm del Salmo 82?
Penso
che abbiamo raccolto elementi sufficienti per collocare il Salmo 82 nel
contesto politico, culturale e religioso in cui è nato.
Il
termine Elohìm nel Salmo ha due significati diversi derivati non solo
dalla persona indicata dai verbi: la terza persona singolare si riferisce a Dio
(vv. 1.8) mentre la seconda e terza plurale riguardano un gruppo di uomini (vv.
2-4). Che si tratti di persone concrete è detto chiaramente quando si dichiara
che moriranno come accade per tutti i loro simili (v. 7). La cultura di quei
tempi, come abbiamo visto, attribuiva alle autorità le prerogative riconosciute
agli dèi e i capi dei diversi popoli spesso ne approfittavano esigendo dai
sudditi non solo onori non dovuti ma anche vantaggi materiali.
L’autore
del Salmo immagina una riunione di questi personaggi e dà la parola a Dio (v.
1) invitandolo a giudicare il comportamento di coloro che esercitavano il
potere convinti di essere diversi dai sudditi e superiori a loro (vv. 2-4).
La
prima sorpresa è il cambiamento di quello che noi oggi chiamiamo “ordine del
giorno”. Quella che doveva essere una riunione solenne di capi (l’avevano
chiamata “assemblea divina”) si trasforma in una sessione di tribunale dove gli
“onorevoli invitati” diventano gli “imputati”. Le accuse loro rivolte riguardano
la gestione della giustizia a danno dei più deboli.
Il v. 5
può essere considerato il perno su cui ruota il Salmo: si credono saggi, ma
sono ignoranti. Si muovono nelle tenebre, non capiscono niente della vita.
Potrebbe sembrare l’arringa della difesa che cerca attenuanti. In realtà l’ignoranza
della legge, nei capi diventa un’aggravante. Gesù dirà degli equivalenti del
suo tempo: sono guide cieche che portano alla rovina quelli che dipendono da
loro (Matteo 15,14).
A
questo punto l’autore interviene con una constatazione personale mettendo
quelli che pretendevano di essere al di sopra di tutti, di fronte alla realtà
più sconvolgente nella sua ovvietà: moriranno come tutti i loro sudditi (vv. 6-7).
Messa a conclusione del processo la frase acquista il valore di sentenza
definitiva: è una condanna a morte.
A
leggere il testo ebraico, si è colpiti dal richiamo anche sonoro con un altro testo
dove si parla di ‘adam (uomo) a cui è promesso che sarebbe diventato come
elohìm (come Dio) mentre nel Salmo agli elohìm (giudici) è annunciato che avranno la sorte come
‘adam (come uomo); alla promessa ‘al temutùn (non morirete) corrisponde
nel Salmo la condanna severa: temutùn (morirete). Si tratta del capitolo
terzo di Genesi dove si presenta la provocazione del serpente alla quale l’uomo
non ha saputo resistere. Viene così presentato un capovolgimento totale della
situazione: l’uomo vuole diventare come Dio allettato dall’illusione di essere
immortale – gli uomini che si sono illusi di essere come Dio sono condannati a
subire la triste sorte dei comuni mortali.
È una
satira feroce, dissacrante. In Genesi la fine della grande illusione porta la
consapevolezza della propria nudità, ma permette ancora di vivere; nel Salmo si
va oltre e si prospetta l’irreparabile. Non basterà la foglia di fico e nemmeno
la tunica procurata da Dio a nascondere il fallimento della superbia dell’uomo,
destinato a dissolversi nella corruzione del sepolcro.
L’ultimo
versetto forma una perfetta inclusione con il versetto iniziale. In 1 si
descrive l’inizio di un processo che vede come imputati gli stessi giudici; in
8 si invoca il Giudice supremo perché emetta la sua sentenza che va oltre gli
imputati presenti e coinvolge tutti i popoli della terra con i loro governanti.
Anche
l’autore era uno degli Elohìm!
Un’ultima
annotazione, utile per inquadrare meglio il nostro testo. Il Salmo è attribuito
ad Asaf, presentato come autore di altre dodici composizioni della stessa
collezione (Salmo 50; 73-83). Anche ad una lettura veloce di questi
dodici Salmi si nota una certa continuità tematica poiché ritorna il tema della
giustizia di Dio , anche se espressa con formule diverse. Asaf è presentato
come capo dei cantori, incarico che si dice gli sia stato conferito dallo
stesso Davide (1 Cronache 16,5.7).
Vista
l’importanza che veniva data al culto nel tempio e il ruolo di primo piano
attribuito ai cantori, siamo autorizzati a pensare che Asaf appartenesse in
qualche misura al gruppo dei capi religiosi, cioè a quelli che erano
considerati Elohìm. Era dunque uno che conosceva dal di dentro il funzionamento
dei centri di potere e la mentalità che guidava i comportamenti dei potenti.
Dagli scritti che gli sono attribuiti risulta che doveva essere molto critico
nei confronti dell’ambiente che si era creato intorno ad un’aristocrazia sempre
più lontana dalla vita reale del popolo.
Questa
considerazione ci riporta alla domanda iniziale: chi erano gli elohìm destinati
a morire, di cui parla la Bibbia? Erano esseri alieni colonizzatori degli
uomini di cui hanno finito per condividere la sorte? Oppure erano uomini come
tutti che si erano montati la testa credendosi superiori agli altri? Uno di loro,
Asaf, ha avuto il coraggio di uscire dal coro degli adulatori e gridare, come
il bambino della favola: “il re è nudo!”.
Prendendo
in prestito il titolo di un noto filmetto, snobbato dalla critica impegnata,
potremmo concludere anche noi: “I capi, extra-terrestri?… poco extra e molto
terrestri”.
Giovanni Boggio
Ecco
il testo del Salmo nella traduzione ufficiale della Chiesa cattolica italiana
1 Salmo. Di Asaf.
Dio presiede
l’assemblea divina,
giudica in mezzo
agli dèi:
2 «Fino a quando
emetterete sentenze ingiuste
e sosterrete la
parte dei malvagi?
3 Difendete il debole
e l’orfano,
al povero e al
misero fate giustizia!
4 Salvate il debole e
l’indigente,
liberatelo dalla
mano dei malvagi!».
5 Non capiscono, non
vogliono intendere,
camminano nelle tenebre;
vacillano tutte le
fondamenta della terra.
6 Io ho detto: «Voi
siete dèi,
siete tutti figli
dell’Altissimo,
7 ma certo morirete
come ogni uomo,
cadrete come tutti
i potenti».
8 Àlzati, o Dio, a
giudicare la terra,
perché a te
appartengono tutte le genti!
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