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Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

venerdì 15 aprile 2016

IL VANGELO DEI DELUSI

IL VANGELO DEI DELUSI
(o: i delusi dal vangelo?)

Il brano del vangelo di Giovanni che abbiamo letto nella terza domenica del tempo di Pasqua (Gv 21,1-19)  è stato composto con grande maestria. Figura come un’appendice al vangelo stesso che si dichiara chiuso con il capitolo 20. Ma non è questo l’aspetto su cui mi voglio fermare. Vorrei richiamare l’attenzione sulla composizione letteraria dei versetti 21,1-19.
1 –  La pesca e la colazione.
        È evidente la divisione in due sezioni: vv. 1-14 e vv. 15-19. La prima è ben collocata nel tempo (terza manifestazione di Gesù dopo la risurrezione, v. 14) e nello spazio (riva del lago di Tiberiade, v. 1). È precisata anche l’ora di apertura della scena (inizio della notte: “ vado a pescare” v. 3), la sua durata (tutta la notte, v. 3) e il momento della conclusione (dopo la colazione del mattino seguente, v. 13). Sono elencati i nomi di cinque personaggi, mentre due restano anonimi (v. 2). Nel v. 4 si introduce un altro personaggio che assume il ruolo di protagonista. È Gesù, che però rimane misterioso per i sette apostoli mentre invece è presentato con il suo nome al lettore.
Non è un particolare secondario. Infatti chi legge è avvantaggiato sui personaggi ed è spinto senza volerlo a dare un giudizio negativo sulla loro incapacità di riconoscere “il Signore”. Questa denuncia dell’incredulità dei discepoli è una costante nei racconti delle apparizioni del Risorto ed assume il valore di testimonianza di un fatto reale anche se non documentabile.
In questa prospettiva va vista l’abbondanza di particolari descrittivi che raggiunge quasi la pignoleria: l’invito dello sconosciuto a gettare la rete dal lato destro della barca (v. 6), Pietro che si riveste prima di gettarsi in acqua (v. 7), la distanza della barca dalla riva (v. 8), i carboni accesi con la grigliata di pesci e il pane (v. 9), il numero preciso dei grossi pesci e la resistenza della rete (v. 11), l’invito a mangiare rivolto agli apostoli ammutoliti che vengono serviti da Gesù (v. 12). Tutto sembra voler dire che si riferisce un fatto realmente accaduto e ricordato nei minimi particolari.
Fin qui abbiamo visto la descrizione dell’ambiente. Vediamo che cosa dicono e che cosa fanno i personaggi che vi operano. L’affermazione di Pietro: “Vado a pescare” dà l’impressione di voler rompere un silenzio divenuto imbarazzante per tutti. Viene spontaneo pensare che i sette avessero parlato di Gesù cercando di capire il senso di quei fatti che li avevano sconvolti. La decisione di Pietro allenta la tensione facendo capire agli altri sei, che i rimpianti sono inutili, la vita continua, e allora  “Veniamo anche noi con  te” (v. 3). Come a dire: ormai non c’è altro da fare.
Ma l’unica cosa che riescono a fare, è salire sulla barca: grande impresa! Di pesci, nemmeno l’ombra. Ormai è l’alba, non  resta che tornare a terra.
“Ragazzi, non avete dei pesci?” era una presa in giro o una provocazione la voce di quello sconosciuto che doveva aver seguito da terra la conclusione infelice delle loro fatiche? (v. 5). In quel “Nooo!” della risposta i sette pescatori (si fa per dire) hanno scaricato tutta la rabbia e la delusione a cui ora si aggiunge anche una brutta figura.
“Gettate la rete alla vostra destra”. E adesso ci vuole anche sfottere – devono aver pensato i sette “esperti” di pesca. Ma l’automatismo del gesto è scattato ed è accaduto l’incredibile che li ha lasciati senza parole. Da questo momento resteranno muti eccetto “il discepolo amato da Gesù” che suggerisce a Pietro “È il Signore” (v. 7). Sarà Gesù il solo a parlare incoraggiando i discepoli a completare la preparazione del pasto e a cibarsi.
2 – Il dialogo tra Gesù e Pietro.
Due annotazioni di tempo fanno da cerniera tra il primo quadro e il secondo. Il primo si conclude con l’affermazione che quella era “la terza volta che Gesù appariva ai discepoli” (v. 14). Il secondo inizia con “Dopo che ebbero mangiato” (v. 15) senza specificare di più. La collocazione del racconto invita a legarlo al precedente e anche l’argomento sviluppato suggerisce questa lettura. Ma non è possibile precisare ulteriormente.
Indipendentemente dalla sua collocazione il racconto è strutturato come un dialogo esclusivo tra Gesù e Pietro. Non presenta delle azioni (come nella prima parte) ma è giocato tutto sulla parola ridotta a tre formule (“mi ami”  -  “ti amo”  -  “pasci”) ripetute per tre volte con alcune varianti significative.
La prima riguarda il verbo “amare”. La traduzione italiana non può rendere la differenza presente nel testo greco che usa due verbi diversi: agapao e fileo. Il primo è usato da Gesù nelle prime due domande mentre Pietro risponde con il secondo. Nella terza domanda anche Gesù usa il verbo fileo. Non entro nella differenza di significato tra i due verbi: è sufficiente averla segnalata.
La seconda variante è più importante dal punto di vista della struttura del brano e riguarda la risposta di Pietro. Alle due prime domande l’apostolo risponde senza tentennamenti. La terza volta invece ripete tra sé la domanda come se volesse assicurarsi di aver capito bene. La sicurezza quasi ostentata se non spavalda delle prime risposte è sostituita da un’espressione commovente per la sincerità coerente con il carattere impulsivo di Pietro, come emerge da tutto il brano.
Conclusione: come leggere il vangelo.
Le azioni descritte nel nostro racconto e soprattutto le parole riportate, rivelano un alternarsi di sentimenti manifestati apertamente o facilmente intuibili. L’autore ha saputo creare all’inizio un’atmosfera che comunica la delusione degli apostoli superstiti al fallimento dei loro sogni. L’introduzione inaspettata di Gesù incomincia con una parola che diventa significativa quando è accompagnata dal segno prodigioso. La stessa parola è la protagonista del dialogo con Pietro che ha come destinataria tutta la Chiesa.
Un testo così ricco di suggestioni deve essere presentato con una lettura che trasmetta le emozioni e i messaggi che l’autore ha voluto comunicare. Una lettura  monotona e distaccata uccide il testo. Lo stesso effetto negativo è prodotto da una lettura che enfatizza il testo in modo indebito. Ad esempio se si legge il “Vado a pescare” di Pietro e il “Veniamo anche noi” con tono entusiastico, gioioso, come se fosse l’inizio di una bella gita in barca sul lago si comunica un messaggio contrario al significato del racconto. Così la triplice risposta di Pietro alla domanda di Gesù deve essere letta con tre toni diversi: deciso e sicuro la prima volta – normale e pacato la seconda – accorato e incerto la terza. Lo esige il testo.
Non è che si debba trasformare in recita teatrale la proclamazione del vangelo. Si tratta solo di leggere con fedeltà il testo dando alle parole il loro significato. Certamente una lettura non solo del vangelo ma di qualsiasi altro testo, fatta con questi criteri non si può improvvisare né affidare al primo malcapitato, chierichetto o no. Deve essere studiata e preparata, preferibilmente registrata e risentita. Richiede impegno, fatica e tempo. Ma ne vale la pena, se non vogliamo sentirci dire alla fine della lettura, quando affermiamo alzando il tono della voce, che è “Parola di Dio” o “Parola del Signore”: “Ma come parla male questo vostro Signore!”.

1 commento:

  1. Pensavo che in questa sede fosse sufficiente accennare al problema del dialogo tra Gesù e Pietro senza approfondirlo, vista la diversità di opinioni tra gli studiosi. Ma la domanda di un amico mi ha fatto capire che c’è il desiderio di saperne di più. Le traduzioni nascondono il problema che nasce dalla presenza nel testo greco di due verbi differenti per indicare quello che nelle altre lingue è detto con un unico verbo: “amare”. La lingua greca che conosciamo dai testi classici ha a disposizione tre parole con i verbi rispettivi: eros, agàpe e filìa. Con il primo si indica la passione amorosa che si esprime soprattutto attraverso il sesso, con il secondo si evidenzia la dedizione completa ad un ideale, ad una professione mentre il terzo è riservato alla relazione di amicizia. I limiti dei tre ambiti sono molto sfumati. I testi della Bibbia scritti in greco usano solo una volta il termine “eros” il cui significato viene assorbito da “agàpe” che nel greco classico non era molto frequente. Come si vede, la molteplicità di significati che a volte si sovrappongono rende impossibile una distinzione netta nell’uso dei termini che finiscono per essere considerati sinonimi. Per questo motivo molti studiosi non danno importanza al fatto che alla domanda di Gesù che chiede a Pietro se sente di avere “agàpe” verso di lui l’apostolo risponde di provare “filìa”. Con altre parole potremmo interpretare i due termini in questo modo: “Mi vuoi bene davvero, tanto da considerarmi l’unico scopo della tua vita?” al che Pietro avrebbe risposto: “Ti assicuro la mia amicizia!”. È evidente il dislivello tra le due posizioni, ripetute alla lettera con la seconda domanda. La terza volta Gesù sembra adeguarsi al livello di Pietro che sembra scosso dal cambiamento, riflette ma non modifica la sua posizione entrando nella prospettiva del maestro. “Almeno mi garantisci la tua amicizia?” avrebbe ribattuto Gesù. “Non ti si può nascondere nulla!” – protesta Pietro, che però non estende il suo impegno oltre i confini di una profonda amicizia. Si tratta di una ricostruzione ipotetica che crolla se non si riconosce la differenza di significato tra i due verbi. L’ultima traduzione italiana ufficiale del 2008 usa il verbo “amare” nelle prime due domande di Gesù e “voler bene” nelle risposte di Pietro e nella terza domanda. Il tentativo dimostra attenzione al problema ma non rende esattamente le sfumature di significato del testo greco. Ma dobbiamo ancora chiederci se la distinzione dei significati risale a Gesù stesso e a Pietro oppure se è stata elaborata dall’autore di questo brano di vangelo. Se Gesù e Pietro parlavano aramaico, lingua affine all’ebraico che fa uso di un solo verbo per indicare l’amore (ahav), non potevano aver fatto un dialogo come riportato dal racconto scritto in greco. Altra questione irrisolta è il termine di confronto dell’amore di Pietro. “Mi ami più di [quanto ami] costoro (cioè gli altri apostoli? O le altre cose?)”. Oppure: “più di [quanto mi amano] costoro?”. Come si vede, il brano presenta alcune difficoltà di interpretazione che non sminuiscono affatto il messaggio riguardante la figura di Pietro e il ruolo che Gesù gli ha affidato. È inoltre evidente che nello spazio limitato di un articolo divulgativo non è possibile esaurire tutti gli aspetti suggeriti da testi spesso molto elaborati nella loro composizione letteraria e che noi leggiamo con eccessiva superficialità che ci impedisce di cogliere la ricchezza del loro contenuto.

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